LUCA TAVECCHIO
Editoriale e Commento

I supplizi di piazza Vetra

Nuova e vecchia inciviltà in Porta Ticinese

Non c’è pace per piazza Vetra. L’ultimo capitolo della lunga, e spesso poco gloriosa, storia di questo luogo sono gli scarabocchi e le bestemmie sulle mura della millenaria basilica di San Lorenzo. La denuncia del degrado in cui versa la grande basilica arriva a pochi giorni da un lugubre anniversario che riguarda da vicino proprio la piazza. Il 26 giugno del 1630, nel pieno dell’epidemia di peste, in fondo a corso di Porta Ticinese venne arrestato il povero Gian Giacomo Mora, un barbiere la cui unica colpa era di avere strani unguenti in magazzino. Intrugli – definiti dai solerti ispettori “smoiazzo di morto” – che per i suoi accusatori servivano a diffondere la peste in città. Il povero Mora – reso celebre da Manzoni nella Storia della Colonna Infame e da Pietro Verri prima di lui – venne torturato e costretto a confessare: per lui, e altri 12 untori, arrivò alla fine di agosto la Ruota in piazza Vetra. Un popolare supplizio sul quale è meglio sorvolare, basti sapere che prevedeva una grande ruota dotata di punte acuminate e un energumeno armato di un pesante bastone. Come risarcimento, secoli dopo, al povero Mora venne intitolata la via dove abitava (la casa venne rasa al suolo dopo l’arresto) e nel 2005 una targa di scuse con le considerazioni di Don Lisander sui sadici persecutori dell’epoca. Parole che – certo, con sfumature d’infamia diverse – valgono anche per gli imbrattatori di oggi: “È un sollievo il pensare che se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa ma una colpa”.