GIANLUCA BOSIA
Editoriale e Commento

C’è del marcio in Lombardia

Il lavoro e il caporalato 5.0 nella regione che è la locomotiva dell’economia italiana

C'è del marcio in Lombardia. E non mi riferisco solo alle infiltrazioni di 'ndrangheta & C. o all'evasione fiscale ma allo sfruttamento (schiavitù?) dei lavoratori soprattutto stranieri e magari con i documenti non proprio in regola. Lo strumento è noto: si chiama caporalato e per qualcuno è sinonimo del lavoro in campagna al Sud. Invece vive e prospera benissimo anche da noi, anzi.  

Un caso, forse non l’ultimo, a Lodi  dove, secondo gli inquirenti,  un imprenditore agricolo utilizzava manodopera irregolare per la coltivazione e la raccolta di ortaggi. Ai lavoratori, tutti  extracomunitari, invece delle 169 ore mensili previste dal contratto nazionale del lavoro, ne erano imposte anche 512. 

Sfruttamento puro nel profondo Nord, roba da padroni di cent'anni orsono non da moderni imprenditori o datori di lavoro. Ma non finisce mica a Lodi: i casi sono decine e decine, in campagna come nei cantieri, nella ristorazione e nell’industria. 

Siccome siamo in Lombardia, regina della tecnologia e dei social,  il caporalato non è (solo) quello dei film con lo schiavista incaricato dal padrone che gira su un camioncino e sceglie al mercato delle braccia a chi dare un lavoro con paga da fame senza contributi e protezione sociale e sanitaria. E se per caso muori ti scaricano in qualche campo.  Qui in Lombardia i lavoratori in nero vengono reclutati  via social attraverso una catena di amici e complici. Oppure ci si affida a una ditta esterna dove i lavoratori sono tenuti alla catena e ricevono una manciata di euro per produrre beni di superlusso da vendere in boutique a qualche k.

Tutto poco tracciabile, stilizzato nella forma ma non nel contenuto. Il caporalato 5.0 è in concreto lo stesso di fine '800. La Lombardia è la locomotiva economica dell'Italia intera ma ci sono lavoratori che viaggiano ancora in terza classe o clandestini sul tetto di una carrozza.