ARNALDO LIGUORI
Editoriale e Commento
Editoriale

Architettura, ingegneria o spaccio?

Architetti e ingegneri sono nemici naturali, due specie diversissime sovente costrette a condividere lo stesso habitat. E se alcuni architetti detestano gli ingegneri per la loro malcelata alterigia scientifica, questi ultimi ritengono i primi poco più che fabbricanti di modellini o, ancora peggio, “ingegneri che non ce l’hanno fatta” e quindi “carichi di invidia e rancore”. Un’ipotesi, questa, curiosamente confermata dalla storia di un architetto milanese che, per farsi chiamare “ingegnere”, ha dovuto darsi alla malavita (peraltro con esito assai deludente). L’uomo, di 37 anni, ha iniziato a spacciare marijuana, hashish e funghi allucinogeni nella cameretta della casa dove vivono la madre ultrasettantenne e la nonnina di 104 anni. Ed è proprio nelle chat con cui si teneva in contatto con fornitori e compratori che questo Walter White de noialtri si faceva chiamare “L’ingegnere”. Era forse un modo per dissimulare la propria identità? Oppure un tentativo di darsi quell’altezzoso e agognato tono che, da architetto, non avrebbe mai potuto sbandierare? Agli inquirenti – che lo hanno arrestato – l’ardua sentenza.