
ALL’INIZIO erano le apparecchiature di precisione, che controllano la qualità e la misura dei pezzi prodotti da macchine utensili e il corretto funzionamento di queste ultime. Nel 1952 l’ingegnere Mario Possati si fece venire in mente di costruire un’impresa su questa idea e la chiamò con le sue iniziali, Marposs. Da quell’intuizione è nata un’azienda che, a parte il 2020, complicato dal Covid, vanta quasi 500 milioni di fatturato, con i piedi ben piantati in provincia, a Bentivoglio, nel Bolognese, e mani che abbracciano il mondo, con filiali in 25 paesi e oltre 3500 dipendenti.
Ma se nel 1952 bastava il talento di un uomo a costruire un impero, nel 2021 la tecnologia e i mercati sono così complicati che serve molto di più: l’intelligenza applicata alla visione imprenditoriale e la competenza al servizio della fattibilità industriale. Gli ingegneri Francesco Ziprani e Nicola Scandola, che rispondono con una voce sola, sono rispettivamente il responsabile dell’area Ricerca e sviluppo e del personale di Marposs, due settori aziendali che coltivano relazioni molto intense con l’Università di Bologna.
Come è nato il rapporto con l’Alma Mater?
"È partito nel 2014. Dalla voglia di evolverci".
Eppure eravate forti sul mercato.
"Sì, nel tempo Marposs aveva allargato i suoi ambiti di competenza, dalle prime macchine ai torni, fino alle fresatrici, ai centri di lavoro, che sono macchine utensili molto sofisticate in grado di lavorare materiali metallici per produrre pezzi conformi al progetto originale".
I vostri clienti di riferimento?
"Soprattutto automotive e costruttori di macchine utensili. Davamo e diamo un contributo importante a garantire la qualità metrologica del manufatto".
Metrologica?
"Sì, la metrologia si occupa della misura degli oggetti. Anche se una volta ci è capitato, con un cliente straniero, di inciampare nella definizione".
Come si fa a inciampare?
"In realtà avevamo spiegato ogni cosa per bene, ma non avevamo capito che l’interprete continuava a tradurre metrologia con meteorologia. Vedevamo solo la faccia del cliente sempre più perplesso. Non capiva cosa c’entrassero i macchinari con le previsioni del tempo".
Torniamo all’università. Su cosa si basa l’accordo che avete firmato nel 2014?
"Primo: fare ricerca su temi di interesse comune. Secondo: formare e selezionare le competenze necessarie all’università e all’azienda. Terzo: leggere insieme le prospettive future".
Il terzo punto lo trovo affascinante. Di solito è appannaggio dei vertici aziendali.
"È sempre il management a pianificare gli sviluppi e la direzione che prenderà la Marposs. Ma confrontarsi con professori e studenti può essere molto utile e stimolante".
Come si svolge questo confronto?
"C’è un comitato di coordinamento, in cui ci siamo noi e i rappresentanti dell’università, che valuta le attività svolte e pianifica quelle future".
Un esempio pratico?
"Negli ultimi tempi abbiamo discusso una trentina di argomenti con l’Alma mater che riguardano per un terzo l’elettromobilità, un terzo la cyber security, un terzo l’Industria 4.0 con le sue applicazioni di comunicazione a larga banda e di intelligenza digitale".
Ma voi, storicamente, non producevate macchine per questi settori.
"Non specificamente per l’elettromobilità, ma per l’automotive sì. L’importante è predisporsi a creare apparecchi di controllo metrologico per i macchinari di settori in grande espansione".
Quindi l’accordo con l’università vi aiuta a indirizzare le vostre trasformazioni aziendali.
"Fa ancora di più. Se discutiamo di elettromobilità, arriveremo a considerare le batterie al litio. Nel nostro caso, ci interessa chi le produce, che è un potenziale cliente. Uno dei problemi delle batterie è che possono avere perdite e rilasciare sostanze oppure imbarcare acqua".
E per voi cosa vuol dire?
"Che c’è bisogno di un sensore che segnali l’eventuale disfunzione. Per inventarselo servono competenze elettrochimiche che non avevamo. Quindi abbiamo aperto una linea di ricerca con l’università che aiuterà l’Alma Mater a formare degli studenti e magari a brevettare un sensore che noi potremmo produrre".
Un ciclo completo. Senza contare che così potreste anche assorbire i ricercatori.
"Esatto. Porteremmo in azienda competenze che all’inizio del percorso non avevamo".
Il reclutamento è parte integrante di questa relazione virtuosa.
"I nostri ricercatori condividono già esperienze con ricercatori universitari su certi temi. Per le aziende vuol dire pagare una persona che sta dentro l’università, ma lavora a progetti comuni tra le due strutture".
Rende la ricerca del personale molto più facile.
"Gli accordi quadro, negli ultimi anni, ci hanno permesso di assumere una ventina tra laureati e laureandi, e in prospettiva nei prossimi anni pensiamo di assumerne un’altra quindicina".
La vicinanza dell’Alma Mater ha cambiato qualcosa del vostro modo di vivere l’azienda?
"Sicuramente ci ha offerto l’opportunità di vedere i giovani, i laureandi, i ricercatori in modo diverso. Non solo come persone da formare ma anche come risorse fondamentali. L’accordo quadro per noi e per tante altre imprese ha rappresentato un punto di svolta da cui non si torna indietro. La fine della diffidenza storica tra aziende e università che esisteva in anni precedenti. E’ come se fosse definitivamente caduto il muro che ci separava".
Marco Girella