Riso Gallo, il patron cede il testimone: "Spazio ai figli, passaggio chiave"

La scelta di Mario Preve per i suoi ottant’anni: "Una svolta preparata con grande cura"

I fratelli Preve. Da sinistra: Eugenio, Emanuele, Riccardo e Carlo

I fratelli Preve. Da sinistra: Eugenio, Emanuele, Riccardo e Carlo

Robbio (Pavia) - Per il suo ottantesimo compleanno il regalo più ambito ha deciso di farselo da solo: assicurare il passaggio generazionale dell’impresa da lui guidata per cinquant’anni. "Le aziende familiari sono la vera forza economica dell’Italia, un patrimonio da preservare e tramandare. Ma per farlo nel migliore dei modi bisogna preparasi per tempo, sono operazioni che vanno curate, educate, seguite", spiega Mario Preve. Ai vertici per tutta la sua vita professionale della Riso Gallo, nata a Genova nel 1856 e diventata a Robbio Lomellina, nel Pavese, tra le più grandi risiere d’Europa, ha deciso di passare il testimone ai figli. "Mi ero posto il cambio generazionale come traguardo – racconta – ora, insieme, l’abbiamo raggiunto. Mantengo la carica di vicepresidente, ma la guida è loro".

Lei ha quattro figli ed è riuscito a coinvolgerli tutti in quest’impresa. Come ha fatto? "Prima di tutto, li ho lasciati liberi. Ho voluto che studiassero scegliendo la facoltà universitaria che più rispondeva ai loro interessi. E, una volta laureati, ho lasciato che si cercassero un’occupazione. Poi, gradualmente, ho iniziato a coinvolgerli nel mio lavoro, portandoli uno a uno all’interno dell’azienda, forti delle competenze e delle professionalità maturate in casa d’altri".

Una strategia e anche una tradizione: Riso Gallo è un’azienda familiare da sei generazioni. "Ma è toccato solo a me gestire questo passaggio in maniera davvero strutturata. Dei miei figli, ognuno ha compiti precisi. Carlo, il primogenito, si occupa del commerciale; Emanuele, che ama i numeri, del controllo di gestione; Riccardo della produzione. E poi c’è Eugenio, che si è sempre occupato di finanza e che è a capo dell’ufficio italiano di un fondo londinese. Non si era mai interessato di riso. Così l’ho fatto presidente".

A nessuno di loro, però, ha affidato la carica di amministratore delegato. "No, per quel compito ho chiamato un professionista da fuori: Giovanni Ponzetti. Non perché non mi fidassi dei miei figli, ma perché nelle aziende serve un capo e nessuno di loro quattro deve farlo per adesso".

Giovedì avete avuto il cda. Come va l’azienda? "Va bene. Meglio dell’anno scorso. È una realtà che continua a crescere e a innovare, diversificando l’offerta ma mantenendosi fedele alla ricerca di un’elevata qualità".

Mario Preve
Mario Preve

Progetti di espansione? "Abbiamo margini per farlo. Come successo, per esempio, con l’acquisizione di una percentuale minoritaria di un’azienda che si occupa della produzione industriale del riso parboiled, quello che chiamiamo comunemente blond".

A chi si deve il nome Gallo e l’immagine del marchio? "A mio padre Riccardo. I miei genitori vivevano in Argentina sei mesi l’anno. Perché mio padre seguiva il raccolto del riso che si fa d’estate: ad agosto in Italia e a febbraio in Argentina. Io sono nato lì, infatti. A Corrientes, una provincia a Nord Est del Paese. Ed è sempre lì che mio padre ha avuto l’intuizione del nome da dare all’azienda".

Partendo da cosa? "Eravamo nel dopoguerra. Mio padre frequentava l’amministratore della Cinzano che gli diceva: “Noi abbiamo un’etichetta per ogni prodotto e scriviamo Cinzano grande e vermut piccolo“. La mia famiglia aveva solo il riso. Di qualità diverse, però. E siccome in Argentina molte persone non sapevano leggere, ogni sacchetto era contrassegnato dall’immagine di un animale, a seconda del tipo. Il gallo contrassegnava il riso migliore. Era giocoforza che in Italia prendesse quel simbolo".

Suo padre ha fatto con lei quanto lei ha appena fatto con i suoi figli? "Era tutto molto diverso. Io avevo due fratelli. Fu deciso che loro si sarebbero occupati del Sudamerica e io dell’Europa. Non avevo un incarico preciso, all’inizio; dovevo seguire tutto. Quello del cambio generazionale non era un obiettivo da conseguire".

Non è neppure una scelta sempre felice. "Le aziende familiari, se ben gestite, possono reggere la concorrenza delle multinazionali. Certo vanno affidate a persone capaci. E questo richiede tempo e scelte oculate. Se si ha una famiglia unita, tramandare l’azienda agli eredi è un dovere. Dipendesse da me istituirei un insegnamento nelle università perché gli imprenditori iniziassero a impararlo già da giovani. Le aziende familiari che si perdono non hanno quella scuola lì".