Italia e concorrenza: su taxi e spiagge vincono le corporazioni e perdono i cittadini

L’Italia sfida l’UE sulle regole di concorrenza e i governi di ogni colore politico seguono il consenso e non il mercato

Sono sempre le corporazioni a governare in Italia

Sono sempre le corporazioni a governare in Italia

L’Italia è una Repubblica basata sul lavoro e sulle corporazioni, e sul lavoro delle corporazioni. Così dovrebbe intitolarsi un articolo della Costituzione, considerato lo stallo politico-economico che alcune corporazioni hanno creato all’interno del nostro Paese, per decenni, penalizzando concorrenza, mercato e consumatori. Già negli anni ‘80, l’Unione Europea (allora Comunità Europea) si era accorta che l’Italia presentava dei bassissimi tassi di concorrenza in alcuni settori chiave, come il trasporto aereo (non era possibile far volare compagnie straniere su tratte italiane), quello marittimo (con i traghetti), la telefonia, le utilities. Ancora oggi, interi settori si trovano in ostaggio di pochi singoli cittadini molto ben organizzati (e in alcuni casi anche violenti), con conseguenze devastanti per l’economia italiana, per la qualità dei servizi erogati e per la tutela del principio di concorrenza, sempre più calpestato. Il settore dei taxi rappresenta uno dei più visibili esempi di prevaricazione corporativa. Il servizio taxi in Italia presenta importanti limiti nella qualità dell’erogazione, nella distribuzione e nei prezzi. Le licenze contingentate, offerte gratuitamente dai Comuni italiani, sono presto entrate all’interno di mercati (spesso in nero) di compravendita, con prezzi altissimi, a causa della scarsità del bene. La compravendita di licenze, seppur non illegale, risulta un’anomalia di mercato: una licenza ottenuta gratuitamente che, per la sua rarità, diventa ostaggio di prezzi che possono arrivare fino a 200mila euro. A questa anomalia si aggiungono le problematiche relative ai servizi: costosi, poco efficienti, non soggetti ad accountability e impossibilitati a far fronte a picchi di domanda. La corporazione dei taxi penalizza gli stessi operatori  (che continuano ad operare in un mercato ridotto), consumatori, sempre più restii ad utilizzare il servizio e, infine, l’ambiente. Nei Paesi in cui prendere un taxi è costoso o difficile, e i trasporti pubblici non sempre sono all’altezza delle esigenze, non diminuirà mai il numero di automobili private, con conseguenze su tutto il territorio. I taxi, però, non sono gli unici a beneficiare di protezione su prezzi e mercati. Il settore dei lidi balneari rappresenta forse il peggior caso di uso inefficiente di risorse pubbliche (beni demaniali) assegnati a privati senza procedure di gara e con un sostanziale danno a consumatori e indotto economico. Come per i taxi, ma in misura maggiore, i lidi italiani rappresentano i casi più cari di gestione di servizi per spiagge in Europa. Si sprecano, ogni anno, gli articoli che raccontano prezzi di cabine, ombrelloni e lettini. Eppure queste aziende continuano a non essere interessate da gare di gestione del bene demaniale, e persistono nel gestire beni non propri (ma dello Stato), senza che siano applicati i più elementari criteri di mercato. I casi più eclatanti sono quelli di Liguria e Toscana, dove la scarsità di spiagge libere, unita ai prezzi elevati dei servizi, rendono quelle regioni mete “di lusso” per i turisti, salvo poi non avere le strutture alberghiere necessarie per questo tipo di indotto. Il problema è, innanzitutto, culturale: l’Italia sfida l’Unione Europea su regole di concorrenza, e i governi di ogni colore politico hanno, sino ad oggi, accontentato le corporazioni per un unico scopo: la salvaguardia (presunta) di un consenso minore, ma organizzato. In futuro, però, l’Italia sarà chiamata alle sue responsabilità. Un Paese del G7 non può sottrarsi alle regole del mercato. A pagarne il prezzo saranno, come sempre, lavoratori, consumatori, e infine, l’ambiente.