
di Giuliano Molossi
Timorosi, pigri e casalinghi: gli italiani quando fanno investimenti possono essere descritti così secondo Stefano Valente, presidente e fondatore di Abalone Graff, società svizzera di gestione patrimoniale e consulenza per privati, famiglie e istituzioni. Continuano a mettere i loro risparmi in immobili o in investimenti "nazionalisti" o addirittura a lasciarli liquidi sui conti correnti "perché non si sa mai". Sono molto cauti, e questo certamente non è un male, ma anche quando potrebbero osare viaggiano con il freno a mano tirato. L’incertezza per il futuro, cresciuta notevolmente a causa della pandemia, non ha fatto altro che confermare una tendenza già consolidata negli ultimi anni e che ha visto progressivamente diminuire il peso di azioni e obbligazioni nel portafoglio degli italiani e aumentare la quota di liquidità e di prodotti assicurativi e previdenziali per lo più esposti su titoli di Stato italiani e dell’eurozona. Investimenti finanziari che sono comunque inferiori a quelli delle famiglie francesi e tedesche.
Dottor Valente, in un anno così particolare come quello appena trascorso è cambiato il comportamento dei risparmiatori italiani? E come?
"Rispetto agli ultimi anni non ci sono state grandi differenze. Gli italiani continuano a tenere molta liquidità, non investita in alcun modo. E quando decidono di investire anche una piccola quota dei loro risparmi privilegiano in maniera preponderante i titoli a reddito fisso, e stanno lontani dal mercato azionario, hanno una sorta di allergia alla volatilità del mercato azionario. E tra l’altro se vanno in Borsa scelgono titoli di società italiane. C’è un aspetto un po’ provinciale nel modo di investire i risparmi. Questo ovviamente ha anche dei vantaggi sul sistema Italia, purtroppo però in questo modo si rischia di perdere delle opportunità che offrono i mercati internazionali".
Nel 2020, nonostante la crisi, i mercati finanziari, fatta eccezione per il mese di marzo, sono andati molto bene, opportunità di guadagnare ce ne sono state parecchie...
"L’anno scorso la partecipazione ai mercati finanziari da parte delle famiglie italiane è solo lievemente aumentata. Se guardiamo gli indici delle Borse dopo quel marzo terribile c’è stato un forte recupero e l’anno si è concluso in maniera positiva in tutto il mondo. Chiaramente ci sono dei settori che hanno sofferto, e stanno ancora soffrendo come il turismo ma il punto è proprio questo: l’investimento in titoli dà l’opportunità di muoversi a seconda delle situazioni che si vengono a creare. Negli ultimi anni con i rendimenti dei titoli a tasso fisso che sono vicini allo zero, e in alcuni casi negativi, il risparmio degli italiani purtroppo non beneficia dell’andamento delle Borse".
La diffidenza degli italiani è anche nei confronti della gestione patrimoniale?
"Sì, più che diffidenza direi prudenza, tanta prudenza. Il profilo di rischio del cliente italiano è molto prudente e porta a una gestione talmente frenata da questi timori che diventa difficile poi giustificare risultati deludenti. Non è sempre così, ma la maggior parte delle gestioni soffre di questo timore che gli italiani hanno molto più di altri europei. Preferiscono un guadagno limitato ma teoricamente certo".
Ci sono altri Paesi simili all’Italia sotto questo punto di vista?
"Solo la Spagna. Mentre in Francia c’è una propensione per l’investimento azionario molto più forte, in Germania ancora di più, per non parlare dei paesi anglosassoni che hanno una filosofia sugli investimenti totalmente diversa".
Ma nemmeno i grandi exploit di società come Apple, Amazon, Netflix o Tesla, hanno stimolato la curiosità del risparmiatore italiano?
"Parlo per i miei clienti che sono soprattutto italiani. Sì, la curiosità c’è. Però poi quando passiamo a proporgli di investire qualcosa su questi titoli, l’entusiasmo viene meno, ci invitano a farlo con estrema prudenza, con una piccolissima quota".
Questa curiosità c’è anche per la Cina? C’è spazio nel portafogli per società cinesi?
"Sì, le faccio un esempio pratico: la società cinese Nio, che produce auto elettriche e che è quotata anche negli Stati Uniti, suscita l’interesse di vari possibili investitori, anche considerando il boom che ha fatto Tesla".
Nel portafoglio dei nostri connazionali che percentuale hanno i titoli di Stato italiani?
"La parte obbligazionaria è circa del 18 per cento. Di questo, il 70 % sono obbligazioni italiane".
Come vede il 2021 per gli investimenti delle famiglie?
"Non cambierà molto, anzi. L’emergenza per la crisi sanitaria non aiuta a modificare certi comportamenti. Non stimola a prendersi rischi".
La parte più consistente del patrimonio degli italiani resta sempre investita in immobili?
"Sì, anche se i rendimenti sono molto scarsi, attorno al 3 per cento. È una grande fetta di patrimonio che blocca le risorse su altri tipi di investimenti".