Effetto inflazione sui risparmi: le famiglie lombarde perdono 33,6 miliardi di euro

Svalutato il valore del denaro depositato. Il potere d’acquisto è diminuito del 13,5% tra il 2022 e l’inizio di quest’anno. A Milano in fumo 13 miliardi, 4 a Brescia e oltre 3,2 nella Bergamasca

Anche per i beni di prima di necessità la disponibilità di spesa è diminuita

Anche per i beni di prima di necessità la disponibilità di spesa è diminuita

Milano, 14 marzo 2023 – Una sforbiciata di 33,6 miliardi al valore dei risparmi delle famiglie lombarde tra il 2022 ed il 2023. È l’effetto dell’inflazione record iniziata nel 2022 e che sta caratterizzando anche il 2023, visto che, nonostante si registri un rallentamento rispetto allo scorso anno, il costo del denaro continua a crescere a livelli del 9-10%. L’Ufficio studi della Cgia ha fatto una stima di quanto è diminuito e diminuirà il potere d’acquisto dei depositi, alla luce della crescita dell’inflazione di quasi il 15% (+8,1 nel 2022 in media, +6,1 nel 2023). Lo stesso ente definisce "spaventoso" l’esito di questo calcolo. A livello nazionale, si parla di 163 miliardi di euro con una perdita di potere d’acquisto a nucleo famigliare di 6.338 euro.

In Lombardia, il conto è più salato della media nazionale. Su una base di partenza di 243 miliardi di euro di depositi, l’inflazione costerà in totale oltre 33,6 miliardi, di cui oltre 13 nella provincia di Milano, più di 4 nel Bresciano, circa 3,2 nella Bergamasca. La cifra si traduce in 7.533 euro in meno a famiglia, valore che pone la Lombardia al secondo posto in Italia dopo il Trentino Alto Adige. Nella classifica delle province, nella top 10 ce ne sono 4 lombarde: Milano, al secondo posto in Italia, con una riduzione del potere d’acquisto stimata in 8.500 euro; Lecco con -8.201; Monza e Brianza con 7.885; Sondrio con 7.695. Seguono Brescia con -7.472 in media a nucleo famigliare (15esimo posto in Italia), Varese (-7.150), Bergamo (-6.757), Mantova (-6.745), Cremona (-6.436), Lodi (-6.286), Pavia (-6.225).

In fondo si trova Como con una stima di circa 5.800 euro di perdita di potere d’acquisto per famiglia in due anni. Secondo la Cgia, si tratta di fatto di una sorta di patrimoniale, addirittura più onerosa del prelievo del 6 per mille applicato 30 anni fa dall’allora governo Amato sui conti correnti degli italiani. Allora ci fu grande sdegno perché, nella notte tra il 9 ed il 10 luglio del 1992, fu applicata quella misura che costò, al tempo, 5.250 miliardi di lire, pari a 2,7 miliardi di euro.

Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro; praticamente un "sacrificio" economico 31 volte inferiore a quello stimato dall’Ufficio studi della Cgia (163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-2023. Secondo l’ente, "se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi. Cosa, invece, che è stata praticata dagli istituti sulle somme vincolate, anche se, molto spesso, per tantissimi correntisti districarsi tra un ‘mare’ di offerte è estremamente difficile. Uno sforzo economico, quello che dovrebbero sostenere le banche se ritoccassero all’insù i tassi sui risparmi non vincolati, tranquillamente sostenibile, visto che nell’ultimo anno le cose sono andate molto bene".