Prendi i brevetti e scappa all’estero. L’industria lombarda brucia già 2.700 posti

Le multinazionali chiudono per produrre in Slovenia, Ungheria e Turchia. E ora arriva la stangata del terziario

Gli operai faranno i turni per presidiare i cancelli della loro fabbrica

Gli operai faranno i turni per presidiare i cancelli della loro fabbrica

Milano - La ricetta è sempre la stessa. Un’azienda avviata, piccola magari, con pochi dipendenti, ma dalla tecnologia avanzata, con esperienza in un settore di nicchia, un nome noto e clienti di primo piano. Un fondo o una multinazionale del settore la rileva dal fondatore (o dal figlio) che si ritira. Nell’arco di tre anni, i primi problemi: tagli, trasferimenti di produzione e macchinari. Poi la chiusura, in un momento di crisi, uno di quelli affrontati ciclicamente dalla vecchia proprietà, cui gli azionisti nuovi, in Germania o in America, rispondono traslocando. 

In Turchia, come sospettano i 152 licenziati della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, ma anche in Ungheria, dove si costruiranno le porte degli ascensori della Sematic di Osio Sotto, nella Bergamasca, dove si è già firmato l’accordo per smantellare. O verso la Slovenia, a Zavec, dove si assembleranno gli interni delle auto progettati dalla Novem, della vicina Bagnatica. Qui sono 60 i posti in bilico. C’è poi chi chiude direttamente, come Rotork Gears, fabbrica di attuatori per fluidi, di Cusago, che ne lascia a casa 28. O la Huntsman di Ternate, Varese, che ne fa saltare 50. Alcuni scelgono di cedere lo stabilimento, come la Bosch di Offanengo, 450 dipendenti.

Qualcuno smantella un impianto e trasloca in Italia. Fpt-Cnh di Pregnana, colosso della galassia Angelli, che fa motori marini, ha messo 110 persone in cassa, 75 li ha tagliati, altrettanti li ha trasferiti a Torino. Ne restano 10. La Icar, due fabbriche di condensatori fra Monza e Bergamo, ha chiesto il fallimento. E di lavorare gratis ad agosto a quasi 200 persone. Crisi vera, come quella della Boost, cartotecnica di Cenate (Bergamo), con 800 lavoratori senza stipendio. Conto totale, circa 2.700 posti a rischio nell’industria. Più altri 70 persi fra 2019 e 2020. E ora arriverà anche l’onda lunga dei tagli al terziario: 500 impiegati solo nei negozi Douglas. E altri esodi nelle banche.