Fase 2 Coronavirus, imprese lombarde in rivolta: aiuti insufficienti

L’indagine Confcommercio: solo l’8% considera adeguati i fondi. Otto su dieci chiedono contributi a fondo perduto e sono pronti a riaprire

La protesta a Milano

La protesta a Milano

Milano, 7 maggio 2020 - Per le imprese gli aiuti arrivati sono del tutto insufficienti per far fronte all’emergenza Covid-19. La pensa così il 92% delle imprese delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza che sottolineano la sproporzione assoluta fra il danno economico subito dal lockdown e le risorse finora stanziate (e in moltissimi casi non ancora arrivate). Il 55% delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi ha fatto ricorso alla cassa integrazione, in particolare nel comparto della ristorazione (70%), ma nel 95% dei casi i dipendenti non hanno ancora ricevuto i soldi. Sono alcuni degli spunti che emergono dall’indagini condotta dalla Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza sull’impatto economico che l’emergenza Coronavirus ha provocato alle imprese del terziario e sulle misure di sostegno necessarie per affrontare la Fase 2.

Secondo il sondaggio, tra i sostegni destinati alle imprese e ai lavoratori autonomi con i provvedimenti governativi (decreti Cura Italia e Liquidità) l’intervento finora più diffuso è stato il contributo Inps di 600 euro, indicato dal 91,5% degli intervistati. Quanto ai finanziamenti bancari, con particolare riferimento al prestito fino a 25mila euro con il 100% di garanzia dello Stato, il giudizio è molto critico sia sulle modalità che per i tempi di risposta degli istituti di credito: il 35,8% ha espresso un giudizio totalmente negativo, ma nel complesso l`80% giudica insufficiente la risposta delle banche. Sul fronte degli accorgimenti anti-contagio (distanziamento tra i clienti, dispositivi di protezione individuale e sanificazione degli ambienti lavorativi), l’82,3% delle aziende intervistate è pronto a garantire i livelli di sicurezza richiesti, percentuale che sale al 90,5% nel settore del commercio. Ma il 70,7% sostiene che le misure di prevenzione del contagio comporteranno maggiori costi in una situazione difficile che non consente di recuperare le perdite di ricavi accumulate nei mesi del lockdown.

Particolarmente pessimisti (87,5%) gli operatori del comparto turistico e della ristorazione: si dichiara infatti pronto a ripartire subito il 75% delle imprese del commercio ma solo il 53% delle imprese di servizi e addiritura il 43% di quelle attive nella ristorazione. Nei servizi alla persona l’87% vuole invece riaprire non appena le norme lo consentiranno. Risultano invece pochissime le imprese che hanno intenzione di chiudere definitivamente: il 2% del campione. La chiusura definitiva è in particolare prospettata dagli asili nido privati (10%). La categoria, tramite i vertici di Confcommercio, chiede un pacchetto di interventi che spaziano da prestiti garantiti e a burocrazia zero, ma anche e soprattutto indennizzi e contributi a fondo perduto per far sì che il fardello dei prestiti non divenga il macigno del debito. E poi moratorie fiscali più ampie e una risposta al problema dei canoni delle locazioni commerciali. Quanto agli ammortizzatori sociali - la cassa integrazione, il fondo di integrazione salariale e le indennità da rafforzare per autonomi e professionisti - "ne è necessaria la prosecuzione e, dunque, il rifinanziamento, ma anche una maggiore tempestività operativa".