Milano, 18 marzo 2016 - E' sorprendente l’interesse che costantemente desta Yukio Mishima. A più di quarantacinque anni dalla sua morte spettacolare, continua infatti ad essere considerato un “caso”. Lo prova la nuova edizione della più completa biografia che sia stata scritta su di lui: “Vita e Morte di Yukio Mishima” di Henry Scott Stokes che la Lindau rimanda in libreria. Con il passare del tempo la comprensione della sua opera e la sua fama sono cresciute a dismisura. Quasi tutti i suoi quarantasei volumi sono stati tradotti in Occidente e in particolare in Italia, oltre a numerose sillogi. Rileggendo oggi il saggio di Stokes che gli fu amico e quasi “testimone” del tragico seppuku che Mishima compì il 25 novembre 1970 nel Quartiere generale delle Forze Armate Giapponesi, dopo aver preso in ostaggio il comandante della guarnigione, risulta ancor più evidente il legame tra la letteratura ed il gesto estremo nella visione dello scrittore. Affiora, infatti, un bisogno di verità da parte di Mishima che può essere soddisfatto soltanto dalla creazione letteraria che si fa azione e stile di vita.
Il suo biografo descrive, con partecipazione anche quando si mostra perplesso, un “capolavoro” esistenziale e perfino politico la vita e l’opera di Mishima la cui fine, se all’epoca generò perfino repulsione nella maggior parte degli ambienti giapponesi, è andata via via assumendo una dimensione estetica ed etica, rappresentando, come è stato scritto, la tradizione giapponese più autentica. Per di più viene riconosciuto come lo scrittore più visionario ed all’avanguardia del suo paese che, tra l’altro, ha saputo conciliare la sua anima orientale con l’assimilazione della cultura occidentale, fino a farne parte integrante della sua opera. Un paradosso solo apparente che Stokes spiega molto bene unitamente al clima nel quale si è formata ed è maturata la coscienza civile e letteraria di Mishima. L’innato sentimento della bellezza gli fece scoprire analogie insospettabili per un orientale con la cultura classica occidentale. Ed è per questo che Mishima è stato ritenuto interprete di una tradizione universale, il cui stile è stato compreso anche dagli europei dai quali ha imparato molto. Il che da numerosi suoi connazionali, all’epoca, venne considerato “scandaloso”. E “scandalosa”, ovviamente, fu la sua morte volontaria in un’età di semina per gli altri, mentre lui avvertiva che il tempo del raccolto era arrivato: aveva già fatto tutto, non gli restava che il capolavoro e lo trovò in una fine consapevole, atto d’amore per il suo paese e di coerenza estrema con quanto aveva sostenuto in tutti i suoi scritti. Prima del suicidio rituale inviò al suo editore l’ultima parte della tetralogia del Mare della fertilità: più che un ordinario romanzo, un testamento. In essa lo scrittore coglieva nella società nipponica, per quanto devastata, elementi di una possibile restaurazione culturale e spirituale. Forse si sbagliava, ma il dubbio non gli impedì di offrire la sua vita all’idea che lo aveva ispirato.
HENRY SCOTT STOKES, “Vita e morte di Yukio Mishima”, Lindau