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Cultura e Spettacoli

Un capolavoro firmato Petrenko

Il direttore d'orchestra Kirill Petrenko ha regalato alla Scala un'interpretazione straordinaria de Il Cavaliere della Rosa di Richard Strauss, con un cast eccellente e una direzione moderna e vibrante.

Giudici

Miracolo alla Scala, elargitoci da san Cirillo, all’anagrafe Kirill Petrenko, che solo rarissimamente lascia la sua Filarmonica di Berlino per un’altra orchestra, e che nel Cavaliere della Rosa di Richard Strauss ha fatto suonare gli scaligeri come sarebbe bello suonassero sempre, capaci come sono (quando vogliono, e qui si sente quanto lo vogliano) di non temere confronti con compagine chicchessia. Non c’è direttore, a parer mio, che attualmente gli possa star di paro nell’universo mondo. E che del Rosenkavalier ha offerto interpretazione che relega nella soffitta della Veterolirica i languorosi decadentismi che quasi sempre ne affliggono le esecuzioni. Un marcatissimo impianto sinfonico, dall’ordito reso però incredibilmente nitido nell’articolazione dei suoi molteplici piani sonori, mossi da fremere ritmico inesausto e pulsione dinamica stupefacente: dal che, totale comprensione del fraseggio strumentale straussiano. Ma in più, l’agogica è mossa da tale infallibile senso del rubato che tutto lo scorrere della vicenda – uno scorrere sempre “in avanti”, se così posso dire – ha un che di languorosamente sensuale ma allo stesso tempo mosso da sottili fremiti di nervosismo. Profondità e melanconia, golosa voglia di vivere, sbigottita scoperta dei sentimenti entro l’eccitazione dei sensi: la Marescialla, Ochs, Octavian, Sophie sono sbalzati con continue sfaccettature affatto prive sia del cincischio manierato, sia della moina leziosa, sia della caccola risaputa e volgarotta della frusta tradizione. Capolavoro supremo. Lo spettacolo del compianto Harry Kupfer s’era già visto alla Scala otto anni fa, ma a specchio della vibratile, modernissima direzione sembra più bello perché più “giusto”. Cast praticamente perfetto: Krassimira Stoyanova canta benissimo e la fluida naturalezza della sua Marescialla è ideale per l’impostazione antidecadente di Petrenko; Günther Groissböck è un maturo protervo e sgradevole, esattamente come dovrebbe essere; Kate Lindsey canta bene, solo un filo troppo mignon; la Sophie di Sabine Devielhe è deliziosa.