Bombacci, da Lenin a Dongo: una biografia per capire

Di tanto in tanto l’eccentrica e controversa figura di Nicola Bombacci attrae gli studiosi di GENNARO MALGIERI

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Milano, 13 maggio 2016 - Di tanto in tanto l’eccentrica e controversa figura di Nicola Bombacci (1879-1945) attrae gli studiosi. L’ultimo saggio dedicato al rivoluzionario romagnolo è del giovane Daniele Dell’Orco che lo tira fuori dal complesso movimento politico-culturale novecentesco mostrandolo come un autentico protagonista dei rivolgimenti sociali della sua epoca.

Le sue scelte determinarono disorientamento, ma anche ammirazione, per la disinvoltura con la quale abbracciò cause antitetiche. All’ideologia rivoluzionaria si votò con tutta l’anima, abbracciando qualsiasi progetto finalizzato alla libertà dal bisogno dei più deboli nel quadro di una salda concezione nazionale del “bene comune”. Fu socialista, comunista e fascista; leninista, dannunziano e mussoliniano; sindacalista, classista e socializzatore; ostile alla monarchia e dunque repubblicano; rispettoso della Chiesa, ma non clericale. Bombacci fu soprattutto intellettualmente onesto. Cercò la “verità” con caparbia ostinazione: probabilmente non trovò la “sua”, ma si accontentò di quella che maggiormente si avvicinava alle aspirazioni che nutriva. Non fu negligente nel suo tortuoso cammino, da fondatore del Pcd’I all’adesione alla Rsi, ma la verità agli spiriti critici raramente si presenta limpida e riconoscibile. Perciò se il suo cuore batté tanto per Lenin che per Mussolini fu soltanto perché ovunque individuava le tracce di una rivoluzione capace di redimere il proletariato malmesso o di sanare le ferite di popoli e nazioni sentiva di doverle seguire.

In pochi, negli anni della militanza attiva nel fronte socialista e bolscevico prima e poi in quelli dell’avvicinamento al fascismo compresero davvero e per intero le ragioni di quel singolare personaggio disposto ad immolarsi, come in realtà avvenne, per la causa della sua vita. Gli diedero del traditore i compagni che lasciò impaniati nelle loro aporie, mentre un tiranno sanguinario come Stalin massacrava la memoria di Lenin e stravolgeva teoria e prassi del marxismo. Lo apostrofarono come un opportunista i vecchi socialisti che non si resero conto dell’irrilevanza politica del riformismo a fronte della radicalizzazione della lotta politica che divampava in tutt’Europa, Lo guardarono con diffidenza, sospetto, odio, fino ad attivare tutte le manovre disponibili per metterlo in cattiva luce, quei gerarchi del fascismo che giudicavano a dir poco “pericolosi” i buoni rapporti che egli promuoveva tra l’Italia di Mussolini e la Russia sovietica. La sua parabola terminò a Dongo il 28 aprile 1945. A Piazzale Loreto non gli venne risparmiato l’estremo scempio.

DANIELE DELL’ORCO, Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini, Historica