Napoli e Bergamo, incontro d’arte: il dialogo ricostruito dall’Accademia Carrara

Uno sguardo inedito sul Seicento. Da Jusepe de Ribera a Mattia Preti e Luca Giordano: 40 capolavori. Il contributo della Fondazione De Vito

“Napoli a Bergamo. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città“

“Napoli a Bergamo. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città“

Bergamo – La pittura napoletana a Bergamo? Sulle prime si immagina una mancata assonanza, quasi una “stonatura“. Invece si aprono strade inesplorate, uno sguardo nuovo, fresco, su quel capitolo poco noto dei rapporti storico e artistici tra Napoli e Bergamo. Sì, perché buona parte della pittura partenopea seicentesca è giunta qui transitando dalla laguna, grazie alle relazioni commerciali fra la Repubblica di San Marco e il Viceregno. La mostra che apre oggi all’Accademia Carrara – “Napoli a Bergamo. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città“ (sino al 1 settembre) – racconta anche la storia di un mecenate, un collezionista e uno studioso come Giuseppe De Vito, imprenditore geniale, vissuto a Milano e poi a Firenze negli ultimi anni di vita. Dà il nome alla Fondazione che generosamente, come riconosciuto dalla direttrice della Carrara, Martina Bagnoli, ha prestato 22 delle 40 opere in mostra.

Chiarito che la presenza di opere e di artisti napoletani a Bergamo si deve in primis agli scambi mercantili con Venezia, città di riferimento, e al ruolo di committente del Consorzio della Misericordia Maggiore, ecco che il collezionista De Vito arriva nel capoluogo orobico sulle tracce di Luca Giordano, finito al centro dei suoi interessi di studioso, "ingegnere prestato alla storia dell’arte", come lui stesso amava definirsi.

Il rapporto di Luca Giordano con Bergamo, giova ripetere, fu del tutto mediato attraverso Venezia, come nel caso delle strepitose tele provenienti dall’antica chiesa di Sant’Evasio a Pedrengo e presenti in mostra. Esposizione che nella sua prima parte presenta opere di Battistello Caracciolo, Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, Massimo Stanzione, e del Maestro degli annunci ai pastori, nelle cui opere il naturalismo caravaggesco si accompagna a soluzioni di maggiore dolcezza espressiva. Originali le mezze figure maschili di filosofi e sapienti dell’anonimo Maestro, in parallelo con uno splendido Sant’Antonio Abate rappresentato con penetrante realismo, i segni della vecchiaia, la fronte corrugata, le irsute sopracciglia, la barba incolta. Quasi mai esposta anche la “ Giovane che odora una rosa“.

Si prosegue con Paolo Finoglio, Antonio De Bellis, Andrea Vaccaro, sino a Mattia Preti (splendida la prospettiva dal basso nella Deposizione di Cristo ) e Luca Giordano. E qui come detto, i quattro dipinti di Pedrengo sono certamente un richiamo forte: Lapidazione di San Paolo, Martirio di San Bartolomeo , Martirio di Sant’Andrea, Martirio di San Pietro, datati intorno al 1660-1665, sono opere che avvicinano l’artista, per tonalità di colore e chiaroscuri, a de Ribera. Di recente attribuzione grazie agli studi condotti, Incoronazione di spine , opera appartenente ai depositi della Carrara, che era stato attribuito a “imitatore di Luca Giordani“ mentre invece è da ritenersi di poco precedente al ciclo di Pedrengo, quindi opera giovanile di Giordano. Infine, l’enorme telero di Giordano, il Passaggio del Mar Rosso per la basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, viene evocato con una proiezione. Mentre nell’ultima sala ci sono in mostra le opere del suo allievo, Nicola Malinconico, e inedite pale rintracciate nelle chiese del territorio, insieme a due prestiti da Brera.