Paolo Iabichino, Scrittore Pubblicitario e Direttore Creativo
Cultura e Spettacoli

Quando gli spot de Il Giorno li firmava Michelangelo Antonioni

Nel 1956 il grande regista firmò due pubblicità di questo giornale. Ora i video sono tornati a galla grazie alla Cineteca del Friuli

Ritrovati due spot inediti di Michelangelo Antonioni

È difficile da credere a giudicare dagli spot che passano dentro le nostre televisioni, ma c'è stato un tempo in cui le pubblicità erano affidate alla regia delle primissime firme del cinema italiano, scritte da penne futuriste o illustrate dalla matita di illustratori e illustratrici della più grande scuola visiva d'Europa. Era il tempo del Carosello, quando lo scarso affollamento permetteva di raccontare storie che avevano lo scopo di intrattenere, divertire, far pensare o anche solo alfabetizzare una parte della popolazione ancora esclusa dalla scolarizzazione di massa.

È in questo contesto che dobbiamo collocare due ritrovamenti, possiamo dire, archeologici che risalgono al 1956, che portano la firma del grandissimo Michelangelo Antonioni alle prese con la pubblicità di questo giornale. Nel primo dei due la storia racconta di un uomo che raccoglie da terra un guanto, lo riconsegna a una giovane donna assorta nella lettura di un libro e le siede accanto tentando un approccio. Presto però saranno le pagine del quotidiano letto dal signore accanto a distrarre lo stalker ante litteram dal suo intento amoroso, così che i tre finiranno per contendersi l’ambito quotidiano, ridotto ormai a brandelli da un passamano continuo che produce una singolare coreografia, chiusa dal celebre manifesto disegnato dall’illustratore francese Raymond Savignac, a tradurre visivamente lo slogan “una finestra aperta sull'Italia, sul mondo”.

Il secondo spot dovrebbe fare i conti con le censure del politicamente corretto contemporaneo, quando pubblicizza un quotidiano che possono leggere “anche le donne e i bambini”, ammiccando nella seduzione di una rima baciata quel “fatti, avvenimenti, cronache e commenti” che sembra sancire il carattere della testata che affida ancora al Maestro Antonioni questo piccolo cortometraggio pubblicitario d'antan.

I due reperti sono stati rinvenuti grazie alla Cineteca del Friuli che li ha acquistati nel 2014 e presentati al Festival di Trieste Mille Occhi. Dopo un periodo in cui se ne sono perse le tracce, oggi sono a disposizione di chiunque voglia guardarli sul sito della cineteca adessocinema.it.

Al di là dell'inevitabile componente affettiva legata alla testate che ospita questo scrivere, la riflessione sulla trasformazione del linguaggio pubblicitario impone una nostalgica malinconia per una forma pubblicitaria che poteva scomodare un gigante come Antonioni per uno spot commerciale concentrato sul caratterizzare il prodotto, non solo dal punto di vista funzionale, ma anche, direi soprattutto, da quello valoriale.

Da quando la pubblicità ha portato nel digitale le narrazioni più sofisticate, delegando alla tv la cronaca spicciola, questo mestiere ha perso parte del proprio ascendente e ha smarrito del tutto la propria vocazione culturale.

Non è facile fare un giornale oggi ed è ancora più difficile pubblicizzarlo, ma soprattutto è cambiato drammaticamente il rapporto tra chi legge, chi si abbevera di notizie e chi ha ancora voglia di sfogliarle da dentro un tabloid che prova ad ammantarsi di autorevolezza.

Ecco perché serviva un Antonioni nel lontano 1956 ed ecco perché questi due spot rappresentano due madeleine di un tempo che non tornerà mai più. Quello di quando i giornali erano scritti perché si credeva nel potere dell’informazione e non in quello dei clic pubblicitari e quindi anche la pubblicità era scritta per chi credeva nel potere delle storie ben raccontate, e non nel carisma ingannevole dello storytelling a tutti i costi.