ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

“Manoglia“, canzoni sussurrate: undici foglie soffiate dal vento firmate Davide Van de Sfroos

"Mi piace pensare questo disco come una collezione di passi lasciati sul fango nel tempo" Oggi in piazza Duomo la prima presentazione, poi le altre tappe in mezza Lombardia

Davide Van De Sfroos
Davide Van De Sfroos

Como, 13 ottobre 2023 –  Undici foglie soffiate dal vento. “Manoglia” è l’album con cui Davide Bernasconi – per il popolo di balere, teatri, palasport Davide Van de Sfroos  – alza lo sguardo verso la grande magnolia grandiflora che sta lì da sempre a ombreggiargli i ricordi.

Disco autunnale, quindi, che il “cantautore laghèe” presenta oggi, alle 18.30, alla Feltinelli di piazza Duomo a Milano, domani alle 14 da Varese Dischi e poi alle 17 da Frigerio Dischi a Como. Domenica alle 15, invece, l’appuntamento è al Discoshop di Lecco. Il 19 incontro coi fans alle 20.30 alla Latteria Molloy di Brescia e il 20, alle 21, al Piazzale degli Alpini di Bergamo. Il 21, invece, a La Pianola di Sondrio. "Eseguirò qualche canzone, perché il tour vero e proprio inizierà la sua strada agli Arcimboldi di Milano in una data che non c’è: il 29 febbraio", racconta. "Andremo avanti fino alla soglia dell’estate. Mancano un po’ di mesi, ma questo tempo non andrà sprecato perché intendo passarlo viaggiando in me stesso per poi portare sul palco qualcosa di nuovo".

Perché “manoglia” e non “magnolia”?

"Ho scelto una storpiatura dialettale perché era così che gli spazzini a Mezzegra hanno chiamato nel corso delle epoche questa grandissima magnolia, a volte insultandola pure perché lasciava cadere a terra così tante foglie che poi a loro costava un superlavoro dover ripulirle con la scopa di saggina appena un’ora dopo la prima passata. Quindi la ‘manoglia’ era un totem del paese, affacciato su quel suo punto nevralgico in cui si trovano municipio, biblioteca, sala degli alpini, balera e via dicendo. Un po’ il simbolo secolare della comunità, testimone del tempo sia in pace che in guerra. Un albero alto quasi come un’abitazione".

Che disco è?

"Mi piace pensarlo come una collezione di passi lasciati sul fango nel tempo. Appunti dimenticati nei cassetti, nei quaderni, abbozzi di idee saltati fuori mentre lavoravo ad altro".

Che momento fotografa della sua vita artistica?

"Il mio percorso è stato finora un viaggio costante con qualunque umore, tempo e temperatura, collezionando situazioni confluite ad arricchire il mio bagaglio chiamiamolo poetico, emotivo, culturale perché no. Ritrovarmi ancora sul palco sulla soglia dei sessant’anni a fare rumore con altre sei persone mi ha fatto crescere dentro pian piano la voglia di andarmi ad ascoltare i sussurri lasciati da parte. Questo, infatti, non è il disco delle grida, dell’alto volume, dell’hit parade (che mi è sempre appartenuta poco, eccetto forse la parentesi di Sanremo), ma quello della condivisione di latitudini private".

Una necessità discografica?

"Tutt’altro, un album che poteva anche non esserci visto che nell’arco di due anni ne avevo pubblicato uno in studio e uno live. La necessità è stata innanzitutto privata. Si tratta infatti di una raccolta di canzoni sparse così private che pensavo fossero solo mie; errore perché la canzone, nel momento in cui la canti, acquisisce una sua coscienza che la porta dove vuole lei. Un disco per l’anima che, rifugiandosi nella poesia, ti riporta a riflettere con semplicità sulle cose essenziali".

A proposito di poesia nella canzone, che esperienza è stata quella su Bob Dylan portata in tour quest’estate assieme ad Andrea Mirò, Brunella Boschetti e al giornalista Ezio Guaitamacchi?

"S’è rivelata una piacevole sorpresa, perché non immaginavo che così tanta gente sarebbe venuta ad ascoltare uno spettacolo un po’ suonato e un po’ raccontato come il nostro".