
Pasquale Marrazzo
Milano, 28 febbraio 2016 - Tempista, ma non opportunista (l’idea è del 2013), è in montaggio, girato e prodotto a Milano, il film del momento. Basta la parola, cioè il titolo: “La mia mamma si chiama Nikolas”. E la storia: alla morte della madre, separata da anni, gli adolescenti Sara e Matteo vengono accolti dal padre Giuseppe, imprenditore convivente con un “amico”, l’idraulico Nikolas, mentre le tre zie, scandalizzate, sono decise a ribaltare la famiglia in odore di scandalo. Unioni civili, stepchild adoption, stralci, alleanze, votazioni, ma poi c’è la vita quotidiana. Scritta, con Roberto Traverso e Fabrizio Bozzetti, intepretato da Pietro Pignatelli, Lucia Vasini, Stefano Chiodaroli, Corinna Agustoni, la commedia è una novità e insieme un passo inevitabile nella carriera, ma diciamo nella biografia di Pasquale Marrazzo, regista-autore indipendente di umore drammatico tra teatro (Out Off, Litta) e cinema (“Anime veloci”, “Sogno il mondo il venerdì”), in questi giorni alle prove di un “Prometeo” che debutterà il 10 marzo all’Out Off.
Idea centrata, ma anche personale?
«Il film l’ho girato l’anno scorso, l’idea è di tre anni fa, il tema è nella mia vita. Non ho neanche provato a cercare un produttore ufficiale. Troppi limiti. Invece, è la coproduzione di un gruppo man mano coinvolto nel progetto artistico. Sì, mi sta molto a cuore, questo gioco un po’ grottesco dell’identità sessuale e delle sue conseguenze. E non solo come omosessuale. È una questione di libertà. Mia madre ebbe undici figli, inevitabilmente sono stato “assegnato” a una nonna e tre zie. Il loro affetto mi aiutava a superare l’idea dell’abbandono».
Vista dalle tre zie dei ragazzi, la famiglia di Giuseppe è diabolica?
«Sì, assolutamente. In particolare per Giuditta, ruolo di Lucia Vasini. Lei è ossessionata. In casa vede simboli fallici dappertutto, a partire dai vasi alti. Con uno stratagemma si piazza in casa di Giuseppe che, a disagio, non riesce a impedire l’allontanamento del compagno, mentre i ragazzi, Sara per prima, capiscono subito che il papà vive da anni con Nikolas».
C’è anche un fantasma.
«È la moglie di Giuseppe. Compare in bagno e dice la sua: condivide la scelta di Giuseppe, cerca, anzi, di metterlo in guardia dalle tre sorelle. Poi la rivelazione di un segreto mette tutti davanti a una nuova realtà».
Diritti civili, adozioni, ma in chiave di commedia. Perché?
«Intanto perché ne avevo bisogno, per uscire sia dal mio modo artistico drammatico, sia da un periodo di lutto in famiglia. Poi, è in sé grottesco tutto quanto, dal mio punto di vista. Dovrebbe essere naturale. Per esempio: non devi “chiedere” una legge, perché quando chiedi c’è il fatto che qualcuno può dire no. Ma no a cosa? Non devo chiedere il permesso a nessuno di esistere con pari diritti come persona secondo il mio orientamento sessuale. La stessa parola: omosessuale, come se la persona fosse prima di tutto “sesso”. Nessuno dice: “donnasessuale”. È assurdo».
Come vede la nuova legge?
«Rispondo così. Stiamo provando in teatro una versione di “Prometeo”, che ho riscritto, tragedia sul rapporto tra essere umano e potere. Il nostro egocentrismo ci porta a volere il potere per prevalere sugli altri, non per aprire spazi di libertà. Qual è la vera ragione che unisce i politici anche su una decisione così delicata come questa se non l’obiettivo di prevalere? L’altalena politica di questi giorni è inaccettabile. Un vero politico dovrebbe dire: non voglio questa legge per me, ma perchè rende le persone libere, come dovrebbe essere dall’inizio della vita».
Milano dimostra una sensibilità particolare sui diritti degli omosessuali?
«Ora parliamo in termini di comunità. Quando mi sembra che Milano la dimostri, poi mi ricredo. D’altra parte questa è la città più forte in questo senso, a partire dal mondo della moda. Se, per idea, gli omosessuali trasmigrassero, la città che cosa sarebbe?».