
Lee Konitz
Milano, 9 marzo 2017 - Lee e il suo subconscio a 89 anni, qualcosa che oltre la session psicanalitica in fluxus del be bop ex ante e post. Un piccolo gigante del sax contralto, che ha dialogato con ogni avanguardia senza allontanarsi troppo dai temi, quindi dalla musicalità del suo strumento.
Ho visto l’ultima volta Lee Konitz al festival di Vittoria, aveva cenato alla siciliana e fu un concerto irripetibile. Da seduto. Aveva vocalizzato su “Darn That Dream”, cantato senza parole a parte il titolo. Mi spiegarono che era il metodo di Lennie Tristano nelle sue class di giovani strumentisti, perché l’improvvisazione su uno standard deve essere prima di tutto cantabile. L’ho ritrovato in questo suo primo disco su Impulse, “Frescalalto”, un piccolo evento anche per il trio che l’accompagna: l’enciclopedico veterano Kenny Barron al pianoforte, Peter Washington al contrabbasso e il produttore Kenny Washington alla batteria (con il quale aveva già inciso nel 1977).
Standard sublimi, Stella by Starlight, Darn That Dream, Out of Nowhere, Invitation, Cherokee, il suo Kary’s Trance, già inciso sessant’anni prima. Emozionante.