Alessandro Robecchi: “La Milano criminale non è solo quella dei noir. Dietro c’è anche la povertà”

Lo scrittore della serie del Monterossi: “Si parla di allarme microcriminalità, ma della macro ci si dimentica. Invece l’ordine pubblico deve andare di pari passo con una società più giusta”

Il giallista milanese Alessandro Robecchi

Il giallista milanese Alessandro Robecchi

Milano - C’è una criminalità letteraria che abita nei noir, e c’è una criminalità reale, che la ispira. Ma la prima riflette davvero la seconda? Ne parliamo con Alessandro Robecchi, giallista e autore de “I cinque blues per la banda Monterossi“ (Sellerio 2023) e di “Una piccola questione di cuore“ (2022).

- Qual è il nesso tra la Milano nera dei romanzi e quella di tutti i giorni?

“Una città dove girano tanti soldi è per forza anche una città che attira le organizzazioni malavitose. Tanto denaro, tanto crimine, una legge quasi di natura. Ricordo le polemiche di qualche anno fa, quando si negava che in Lombardia ci fossero la ’ndrangheta e la criminalità organizzata. Poi abbiamo visto qualche Comune sciolto per mafia. Era una favoletta anche quella“.

- E oggi che succede?

“Credo che sia in corso, come in quasi tutti i settori economici, una razionalizzazione del paesaggio. Resiste la criminalità tradizionale, quella che gestisce le bische, il gioco d’azzardo, lo spaccio, la prostituzione. La droga qualcuno la venderà e i milanesi fanno abbondante ricorso alle escort. Basta guardare gli annunci. E’ una malavita che ha bisogno di un’organizzazione precisa, quasi di un ufficio personale. Ci vogliono le ragazze, i croupier, dei soldati. Poi avanza e si intreccia con questa una criminalità più finanziaria“.

Io ti aiuto, ti presento un bravo commercialista, che sa chiudere gli occhi giusti. Intanto ti mangio, mi prendo il 20 per cento della tua aziendina, che poi diventa il 40 e il 60

- Ecco, vediamola.

“Nessuno sa esattamente dire dove inizi il prestito a strozzo e dove finisca il finanziamento. E spesso tutto avviene con i meccanismi tipici della mafiosità, io ti aiuto, ti presento un bravo commercialista, che sa chiudere gli occhi giusti. Intanto ti mangio, mi prendo il 20 per cento della tua aziendina, che poi diventa il 40 e il 60. E poi c’è il livello dei grandi numeri, che è quello della speculazione finanziaria“.

- E qui entriamo in un terreno minato.

“Uno dei problemi degli inquirenti è capire quanti dei soldi che girano nell’economia legale non provengano da quella illegale. C’è un riciclaggio costante, molto difficile distinguere i soldi lavati da quelli sporchi. Resiste comunque anche una criminalità di vecchio stampo, che molti avvertono quasi come romantica, che gestisce le sale giochi e altri racket, come quello del sesso a pagamento“.

- Secondo lei da dove nasce, fin dai tempi di Vallanzasca, questo perverso alone romantico del crimine. Che lo rende ad alcuni quasi simpatico?

“Nei miei libri non c’è e io sono contrario a diffondere questo alone. Poteva esserci del romanticismo nel bandito solitario, che si vedeva un po’ contrapposto alla società tradizionale. Un ribelle. Vallanzasca poi ha un po’ aiutato questo mito. Diceva: io non spaccio l’eroina. Ma da lì a farne una brava persona ce ne passa, praticava sequestri di persona, rapinava, uccideva. Attenzione infine, il coté romantico viene sempre a posteriori. Quando il fenomeno è passato. Ma mentre ci sono i morti per terra di romantico non c’è niente“.

L’alone romantico nel crimine? Dobbiamo fare attenzione, dobbiamo pensare anche alle vittime, alle vite che si rovinano per la malavita

- Una questione di rispetto verso la sofferenza delle vittime, insomma.

“Certo. Nel noir ci si pensa poco, ormai ci sono quasi più ispettori nei gialli che nella realtà. Però il noir maneggia archetipi enormi, il bene, il male, la colpa, la punizione. Ecco perché dobbiamo fare attenzione, dobbiamo pensare anche alle vittime, alle vite che si rovinano per il crimine. Questo è un elemento che mi interessa molto nei noir“.

- Di recente, si parla di microcriminalità a Milano. A partire dai borseggi in metrò. Anche questa ispira i giallisti come lei?

“No, di solito i noir puntano più in alto. Ma questo è un indicatore importante della società. Nei miei libri ne parlo da anni. La percezione di Milano, per fortuna, sta cambiando. Questa è una città che premia i vincenti. Essere ricchi qui è abbastanza facile, ma quelli che non ci riescono fanno una vita sempre più grama. E’ impensabile che tu arruoli degli eserciti di semi-schiavi e che questo poi non produca effetti collaterali, il disperato, il fuori di testa, il tossico dipendente che nessuno aiuta“.

- Qual è la sua tesi in proposito?

“Che quando si parla di microcriminalità bisogna parlare anche delle cause. Non credo che a qualcuno faccia piacere andare in giro a scippare la gente, se avesse un lavoro decente non lo farebbe“.

Filmare gli scippatori in metrò? La trovo una forma di violenza data dall’esasperazione. Una sorta di simil giustizia

- Se ne deduce che lei sia contrario a filmare gli scippatori in metrò.

“Certamente. La trovo una forma di violenza data dall’esasperazione. Una sorta di simil giustizia. Di recente è stata fatta una riforma normativa che prevede l’obbligo della denuncia. Prendetevela con chi l’ha votata. Se mi rubano il telefono alla Centrale, mi arrabbio, impreco, ma non ho tempo di perdere quattro ore in commissariato. Ne compro un altro. Questo fa in modo che il meccanismo si replichi. Ovvio, non si deve scippare la gente, non difendo nessuno. Ma questo significa che c’è una situazione sociale di allarme“.

- Ha l’impressione che a Milano ci sia un ritorno dell’eroina come negli anni ’80, con conseguente devastazione di alcune fasce giovanili?

“Sì. Non ho osservatori scientifici da citare, ma la sensazione è nell’aria. Abbiamo attraversato gli anni della cocaina, e anche solo guidando a Milano è facile imbattersi in nervosismi spropositati. Litigare al volante. E assistere a violenze in famiglia nelle case. Negli ultimi tempi poi si vede circolare molta eroina, ma anche questo dipende dal tasso di disperazione. Più è alto, più i criminali ne approfittano“.

- Lei è d’accordo con chi dice che Milano vive un’emergenza ordine pubblico?

“No, sono cose che ci sono sempre state e in questo momento di crisi fanno più impressione, anche perché i media se ne occupano in abbondanza. I dati del Viminale però non parlano di escalation, tutti i reati, anche di microcriminalità, sono in calo. E’ vero che il tasso di incertezza e paura del futuro fa in modo che le ingiustizie, anche piccole, facciano più scalpore. Ma da qui all’allarme microcriminalità ci andrei prudente. Parliamo invece dell’allarme macrocriminalità, pare che nessuno se ne occupi più. Ma qui i miliardi girano e la speculazione non si è fermata mai. Senza sminuire la vecchietta scippata, certo“.

- La vera emergenza dunque è la povertà, più che la sicurezza?

“Sì, credo che l’ordine pubblico debba andare di pari passo con una società più giusta“.