Tredici frammenti. Tredici polaroid in flashback che vanno a comporre il mosaico di una vita. E i contorni di una ferita per nulla rimarginata. Ancora avvolta dalle ombre. Ilaria Alpi viene uccisa insieme all’operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. A due passi dall’Ambasciata italiana. In circostanze mai del tutto chiarite. O così si ripete più o meno da allora. Trent’anni in cerca della verità. Assediati dai continui depistaggi. Ed è da quei corpi crivellati in auto che inizia “Lo schifo“ di Stefano Massini, domani e domenica al Teatro Gerolamo in piazza Beccaria. Sottotitolo: "Omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione". E non si poteva essere più espliciti. Il testo non è recente. Risale al 2010, periodo d’oro dello scrittore fiorentino, con il grande successo ronconiano al Piccolo della Lehman Trilogy. In questo caso però si parla di un monologo. Progetto agile. Che continua a rimodularsi lungo le stagioni, sempre affidato in scena a grandi interpreti. Come in questo caso. Visto che a calarsi nel teatro civile ci pensa Ottavia Piccolo, supportata dalle musiche di Enrico Fink, eseguite dal vivo da I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo.
Lei a dar voce alle vicende della giornalista del TG3 che stava indagando su un traffico di armi e di rifiuti tossici. Giri di affari loschi. Fra criminalità e politica. Visto che all’epoca si parlava di una diretta complicità dei servizi segreti e di alcune alte istituzioni italiane. E a pensarci un attimo, assume un significato particolare ripercorrerne oggi la storia. In queste giornate così segnate dalla vicenda di Cecilia Sala. "Dal finestrino dell’automobile Mogadiscio sembra piena di nebbia. Poi capisci che non è nebbia, è quell’impasto strano di polvere e fumo che sta sospeso in aria finché non piove. E uniforma tutto, spiana via i colori. Grigio. Grigio il cielo sopra Mogadiscio, grigie le case, grigio anche il marmo di quei relitti orrendi, massicci, squadrati, in puro littorio, stile italiano. Con incise parole in lingua italiana: fu impero, fu colonia, fu ancella di Roma, fu Africa nostrana". Così scrive Massini. Così afferma sul palco Ilaria Alpi. Cornice (post) coloniale. Mentre il sipario si alza di fronte ai cadaveri nella polvere. Sono passati pochi secondi dall’agguato. È come se fossimo tutti incastrati in quel diaframma invisibile che separa la vita dalla morte. Un flusso di coscienza. Per parole e per immagini. A ripercorrere i flash di un’esistenza. Prima di lasciare definitivamente spazio al carillon feroce di perizie e di processi, di appelli e di assoluzioni, di inganni e di commissioni parlamentari. Parabola nerissima. Ramificata. Senza pace.