
Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri
Nel suo ventiquattresimo anno di vita Giovanni Ansaldo (1895-1969), uno dei più grandi e colti giornalisti italiani, riprende il suo diario. Caporedattore, in quel tempo, del “Lavoro” di Genova, dopo aver già collaborato ad alcune delle testate intellettualmente prestigiose animate da Salvemini e Gobetti. S’impone con la forza delle argomentazioni e con la seducente scrittura che applica al commento politico, non meno che alle riflessioni culturali. I diari che tiene dal 1920 al 1930, decennio cruciale per la vita della nazione, costituiscono l’approfondimento “intimo” delle vicende che mutano il volto dell’Italia: il dopoguerra, l’avvento del fascismo, il consolidarsi del regime ed i primi tentativi di modernizzazione che la nuova classe dirigente prova a delineare. Ma anche, nelle dense pagine che l’editore Aragno ora propone in due sontuosi volumi, vi sono le impressioni ricavate da viaggi e letture di cui Ansaldo si nutre e che contribuiscono a precisare la sua vocazione “conservatrice”, al di là dell’iniziale cripto-socialismo e dell’antifascismo cui sembrava vocato non tanto per le espressioni politiche di questo, quanto per gli atteggiamenti civili e morali di un gruppo di potere che si sforzava di capire.
Ansaldo non era antifascista come tanti altri. Lo capì il filosofo Adriano Tilgher che lo definì “antifascista perché democratico ed imperialista, perché vuole la Grande Italia…è il vagheggiatore di un’Italia austera e seria, silenziosa e operosa, che lavori molto e festeggi poco”. Il profilo di un conservatore quale emerge, peraltro all’ampia prefazione, vero e proprio saggio introduttivo, ai diari di Giuseppe Marcerano, depositario del lascito di Ansaldo e studioso dello stesso che in questi anni sta scavando alacremente nella sua opera consegnandoci uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso, incompreso ed equivocato a lungo.
Dall’antifascismo al fascismo eretico e frondista il passo per Ansaldo non fu lungo. Legatosi a Longanesi, altro eccentrico giornalista e scrittore, ma anche a Ciano suo editore quando divenne direttore del “Telegrafo” di Livorno, continuò a spaziare tra la politica e la letteratura con la libertà che riteneva di prendersi, dispiacendo al regime, ma appagando il suo spirito. Anche nel dopoguerra non cambiò atteggiamento. Dopo aver scontato la diffidenza che lo circondava, assunse nel 1950 la direzione del “Mattino” di Napoli, prossimo alla Dc, e non fece sconti a nessuno. Le cose migliori, comunque, allora le scrisse sul “Borghese” di Longanesi, spalla a spalla con Indro Montanelli. Eretici ed aristocratici sempre, amati dal popolo ed invisi al “partito degli intellettuali”.
Giovanni Ansaldo, Memorie 1920-1930 - 2 volumi, Nino Aragno Editore
Gennaro Malgieri