Galleria degli Uffizi sempre più social, la stroncatura di Daniele Radini Tedeschi

Il curatore alla Biennale di Venezia: se l'arte diventa un set fotografico che fa da contorno a influencer, pop star, starlette e imprenditrici dell’immagine si rischia un vassallaggio della cultura alle nuove tecnologie e ai predicatori social

La fila, pre pandemia, per poter ammirare i capolavori della Galleria degli Uffizi

La fila, pre pandemia, per poter ammirare i capolavori della Galleria degli Uffizi

Arte e social, connubbio che a molti piace ma che raccoglie anche critiche. E il caso della scelta della Galleria degli Uffizi di Firenze di sbarcare, dopo Tik Toc, anche su Club House.

A dare un giudizio negativo sulla scelta fiorentina è il noto storico e critico d’arte Daniele Radini Tedeschi, curatore alla Biennale di Venezia e responsabile di numerose pubblicazioni sull’arte antica e contemporanea.  “Dopo Facebook, Instagram, Twitter e Tik Tok, è di oggi la notizia che la Galleria degli Uffizi sbarcherà su ClubHouse, con la partecipazione del suo direttore Eike Schmidt a una chat sull’arte. Questo se da un lato fa parte di una strategia di marketing che la Galleria ha intrapreso negli ultimi anni per avvicinarsi sempre di più alle persone, dall’altro corre il rischio di alimentare la confusione tra la vita vera e l’arte e di rendere quest’ultima un mero oggetto delle regole di consumo e identificazione”. 

“Si tratta - aggiunge il critico - di rivendicare il diritto dell’arte a esistere non necessariamente parlando del mondo o curandosi di esso, ma affermandosi come fatto sociale libero dalle mode, dalla politica e dalla dittatura dell’algoritmo. I social network possono essere un mezzo, più o meno efficace, per avvicinare le persone all’arte ma tali devono restare. Quando, come è già successo in varie occasioni, le opere d’arte diventano un set fotografico che fa da contorno a influencer, pop star, starlette e imprenditrici dell’immagine si rischia una sorta di vassallaggio della cultura alle nuove tecnologie e ai nuovi predicatori social e questo non dovrebbe mai accadere”. 

“La paura – conclude la nota – è che il Museo, destinato ad essere “luogo delle Muse”, divenga luogo delle masse o per dirla come J.Baudrillard un “ipermercato della cultura” dove la spettacolarizzazione finisce per avere il dominio e la partecipazione, intesa come mero consumo di un’opera, conta più del valore espressivo, storico e identitario. Il Museo, perdendo così autorità, annulla anche il suo valore ultimo d’essere luogo di esperienza culturale profonda su se stessi e sul presente che si vive. Cedere alle lusinghe dei numeri, dei consensi digitali, dei follower al posto dei visitatori contribuisce ad alimentare un nuovo costrutto secondo cui sono l’arte e la cultura a dover rincorrere le masse, quando invece, ciò a cui dovremmo aspirare, a partire dai grandi musei della nostra bella Italia, è esattamente il contrario”.