
Dream Theater al Forum d'Assago
Milano, 17 marzo 2016 - È un George Orwell 2.0 quello raccontato dai Dream Theater di “The astonishing”, proiettando ansie e paure dei giorni nostri in un futuro distopico che non sarebbe dispiaciuto all’autore di “1984”. Nella circostanza il grande fratello che incombe sulla felicità dei popoli e delle genti dell’anno 2285 ha la sferica intrusività del Nomacs, sinistro drone con cento occhi e cento orecchi (elettronici) con cui il quintetto metal bostoniano cala oggi, domani e sabato sul palco degli Arcimboldi, grazie ad uno spettacolo in due tempi in cui la nuova opera rock trova esecuzione integrale. Un vero e proprio romanzo da ascoltare che racconta con 35 brani l’epica del Great Northern Empire governato con pugno di ferro dallo spietato imperatore Nafaryus, portatore di un Nuovo Ordine contro cui combattono le formazioni ribelli annidati nella città di Ravenskill. Un impero del male formato George Lucas in cui è ammesso l’ascolto solo di un tipo di musica; quella, vuota e senz’anima, creata dalle stesse “NOise MAChineS”. Cosa differenzia i cupi mondi in bilico tra fantasy e fantascienza raccontati della band americana in “The astonishing” da quelli vagheggiati nei romanzi di Zamjatin, di Huxley, Rand...? Nulla se non il fatto che la società ossessionata dal controllo elettronico “The astonishing” evolve idee e universi sonori già abbozzati dai Dream Theater nel 1999 in un altro loro album-concept di grande successo quale “Metropolis part II: Scenes from a memory”. Un kolossal concepito dal chitarrista John Petrucci (assieme al tastierista Jordan Rudess), che è lui stesso a raccontare.
Nell’era di Spotify, dell’ascolto liquido e frammentato, un album del genere rappresenta una bella sfida. Eppure nell’hit-parade italiana ha centrato subito il terzo posto.
«La nostra “liason” col pubblico italiano va avanti dal ’92, quindi la cosa non mi sorprende più di tanto. Proprio per la loro qualità emotiva, consideriamo ogni nostra esibizione italiana un vero e proprio test sul valore dei nostri mezzi».
I concerti di domani e dopo sono già esauriti, quello di stasera, quasi. Tant’è che avete pianificato pure una replica straordinaria a Trieste il 20.
«Per noi questo disco ha rappresentato un sfida molto grossa, che ha assorbito tutte le nostre energie per due anni e mezzo di duro lavoro, in cui ci siamo concentrati pure sull’allestimento dello show che portiamo agli Arcimboldi. Qualcosa di sorprendente anche per i fan che ci conoscono meglio».
La scelta di buttarvi in una rock opera of progressive music come è stata accolta dai fan?
«In Italia come nel resto del mondo, i fan non amano ritrovarci ad ogni nuovo disco lì dove cui avevano lasciati col precedente; sono loro i primi a chiederci di battere nuove strade».
La musica sintetica delle Nomacs è una metafora di quella dei nostri tempi?
«Le macchine hanno una grossa influenza sui processi creativi della musica odierna, così mi sono chiesto cosa accadrebbe nel mondo se nelle canzoni il fattore umano scomparisse del tutto; che tipo di società nascerebbe. Ecco perché nell’album e nello show, oltre ai 29 pezzi nostri, ce ne sono 5 (su base registrata) dei Nomacs».
Secondo lei sarebbe stato ipotizzabile un album del genere se nei Dream Theater ci fosse stato ancora il batterista Mike Portnoy, una delle anime della band uscita dalla formazione sei anni fa?
«Il progetto è legato a quello che sono oggi i Dream Theater. Ho discusso il concept di “The astonishing” con tutti i membri del gruppo chiedendo loro di entrare in questa idea; e loro l’hanno fatto in maniera entusiasta».
Cos’ha provato nello scoprire che i Megadeth stavano lavorando nello stesso momento ad un album focalizzato fin dal titolo, “Dystopia”, su un soggetto molto simile al vostro?
«Sono cose che accadono, quindi non ho provato particolare frustrazione. Anche perché “The astonishing” esprime una visione figlia delle nostre esperienze culturali; a cominciare dai romanzi di Tolkien, da film come Star Wars, da musical alla Jesus Christ Superstar o da serie tv tipo il Trono di Spade».
Quanto sono state importanti le sue radici italiane in questa sua carriera da “guitar hero”?
«Beh, diciamo che hanno contato molto».
I Dream Theater torneranno in concerto pure in estate?
«Stiamo trattando la presenza alcuni festival europei. Italia compresa».
di ANDREA SPINELLI