Dino Rubino cerca sulla tastiera l’anima e Parigi

Il catanese Dino Rubino ha il paso doble, perchè suona il pianoforte con la parte che ha amato e studiato, la tromba con quella che si è stupita, soffio dopo soffio, suono dopo suono di Marco Mangiarotti

Dino Rubino

Milano, 18 settembre 2015 - BEDDU CARUSO e bravo pure. Parigino anche come la nouvelle vague del nostro jazz negli ultimi vent’anni. Il catanese Dino Rubino ha il paso doble, perchè suona il pianoforte con la parte che ha amato e studiato, la tromba con quella che si è stupita, soffio dopo soffio, suono dopo suono. La differenza fra l’innamoramento e il bene dell’amore. Dopo una lunga condivisione con Francesco Cafiso, Rubino ha scelto i progetti piccoli e i motivati ensemble. Ha presentato in questi giorni Parigi, nella sala Duc des Lombards, il suo ultimo lavoro in piano solo “Roaming Heart”, registrato alla fine del 2014 a Parigi, prodotto da Dino e Paolo Fresu per l’etichetta Tuk, affiancata da Pierre Darmon della label francese Bonsaï Music.

Fresu lo ha voluto alla Tuk e ha investito nei suoi progetti, dall’omaggio a Miriam Makeba (Zenzi, 2012) a Kairòs, in ottetto. Bella la copertina, Taken to Heart di Emiliano Ponzi. Diario intimista, con la parentesi né quadra né tonda i “Smile”, la necessità di mettere radici nell’aria e costruire un mondo emotivo sulla tastiera. Ricorda le prime cose di Jarrett, come mood e suono, là c’era Dylan qui una fotografia di “Lennon”. E anche una fugata alla De Andrè (La canzone di Marinella). C’è il primo Novecento di Parigi, il miglior incrocio possibile fra musica colta e jazz. Una libertà larga nell’improvvisazione composizione, senza ansia, live in studio. Flash back e la magia della prima volta, la dedica a Luca Flores, uno spleen blu in controluce. Controllato e inquieto. Lo standard, “Stompin at the Savoy”. Le altre radici, ben piantate nella memoria.