
Massimo Dapporto e Tullio Solenghi
Milano, 30 marzo 2016 - «Io e Solenghi ci conosciamo da 40 anni ma è la prima volta che lavoriamo insieme. Ci troviamo benissimo, ci confrontiamo, ci consigliamo. Capace che alla fine della tournée diventiamo davvero una coppia di fatto, magari adotteremo anche un bambino…». Sboccerà l’amore? Sarebbe curioso. Ma per ora Massimo Dapporto e Tullio Solenghi stanno insieme solo sul palco. Sono loro infatti i protagonisti di «Quei due», commedia di Charles Dyer che già aveva ispirato il film del 1969 con Richard Burton e Rex Harrison. Ora questa versione adattata dallo stesso Dapporto per la regia di Roberto Valerio, da domani al Manzoni. E viene subito in mente uno degli aggettivi più abusati: attuale.
D’altronde si parla di Charlie e Harry, due barbieri della periferia londinese che vivono assieme da una trentina d’anni. Una coppia gay. Con tutte le tipiche dinamiche di una qualsiasi lunga relazione fatta di battibecchi, gioie, sofferenze, amore. Ma l'ansia cresce, causa convocazione in tribunale. Charlie è stato infatti scoperto in abiti femminili in un locale pubblico. E c’è pure da andare a conoscere la figlia ventenne, frutto di un «errore di gioventù». Che i problemi non vengono mai soli.
«Nonostante sia stato scritto a metà Anni Sessanta è un lavoro che parla al presente – continua Dapporto –. All’epoca fu subito portato in Italia da Paolo Stoppa e Renzo Ricci ma la critica non fu favorevole: dava fastidio sia l’argomento, sia vedere due mostri sacri del teatro interpretare una coppia gay. In teoria ora la situazione è un po’ cambiata, ma nelle proprie case temo si continui a guardare con un po’ di sospetto la diversità, che sia per sesso, religione, razza».
Si ride dunque. Ma non senza sfiorare qualche tema più importante. In questa direzione ha lavorato l’adattamento, oltre a svecchiare un linguaggio altrimenti un po’ stanco. Il resto lo fanno i due interpreti. E una società contemporanea che continua a dimostrarsi molto (molto) sensibile all’argomento.
«Finalmente si sono regolarizzate le coppie di fatto – sottolinea Tullio Solenghi –, una legge di civiltà, un primo passo fondamentale e necessario per un paese che era rimasto al Medioevo. Ma lo spettacolo funziona soprattutto perché fa emergere una quotidianità semplice, ci si accorge di come le coppie siano tutte uguali. A volte rendersi conto di questi dettagli, produce effetti molto più grandi di una legge. E quando succede, il teatro mi fa pensare che possa ancora essere uno strumento sociale».
Delicatezza e ironia. In un duetto che rimane (soprattutto) una bella prova d’attore, pronta a sbarcare a Milano dopo il debutto d’inizio gennaio a Sanremo e il consueto giro per la provincia. Giusto il tempo di prendersi le misure. «Nei paesi il teatro rimane un evento – continua Solenghi – una delle poche occasioni dove si chiacchiera con gli altri e si aspetta il cast all’uscita, confrontandosi su temi importanti. In quelle occasioni percepisci forte il desiderio del contatto diretto con l‘attore, nonostante ora ci siano molte più distrazioni. Da parte nostra cerchiamo ogni sera di far ridere, dribblando lo stereotipo. Perché alla fine rimane una semplice storia d’amore».
Fino al 17 aprile al Manzoni, biglietti 35/15 euro, info: 02.7636901.