
Riccardo Cocciante con interpreti e coautori dell’opera musicale
Milano, 3 marzo 2016 - Nostra Signora di Parigi debutta stasera al LinearCiak di Milano con il primo storico cast, sono passati quindici anni, e una riedizione curata da Riccardo Cocciante in persona. Agenda repliche aperta, produce sempre il leggendario David Zard con il figlio Clemente, 200mila bigietti già venduti per le date italiane. Ritornano Lola Ponce (Esmeralda) da Miami, da teatro, musical e tv Giò Di Tonno (Quasimodo), Vittorio Matteucci (Frollo), Leonardo Di Minno (Clopin), Matteo Setti (Gringoire), Graziano Galatone (Febo) e Tania Tuccinardi (Fiordaliso), presenti con il coreografo Martino Muller al Westlin Palace, dopo le prove romane con il regista canadese Gilles Maheu.
“Notre Dame de Paris”, musiche di Cocciante, testi di Luc Plamondon e italiani di Pasquale Panella, ha inventato un genere che non c’era, “l’opera popolare”, e girato il mondo, “fino in Russia e Corea”, ricorda Riccardo. «È un dramma in musica, non voleva essere un’opera o un musical o un’opera rock, ho scritto “qualcosa che non è”. Luc è venuto da me con un’idea, gli ho fatto ascoltare questi dodici temi che avevo nel cassetto e non erano canzoni, tranne “Mi distruggerai”. Nella musica io voglio libertà totale ma con gli autori un matrimonio. Luc mi ha detto: qui c’è già il mio testo. Ed è nata un’opera dove tutto è cantato, più 50 ballerini, acrobati e breaker.
Notre Dame è figlia di una cultura italiana e francese, non anglosassone. Avevo bisogno di voci nude per un palco nudo, un muro, le luci, acrobati e ballerini, ho chiesto a tutti di crescere con un’intepretazione matura, abbiamo lavorato sui dettagli più che allora. Volevo questo cast magico, li ho cercati uno ad uno. Li ho ritrovati più bravi, vocalmente perfetti. Il tempo non logora, non è un’opera stanca». Stiamo parlando di un capolavoro, nelle arie e nei lampi di cultura, dramma e melos di Panella, l’intuizione del tempo delle cattedrali come pilastri del cielo e della terra, trionfo di arte, fede e passione. «Non era così scontato - continua Cocciante -, io e Luc siamo un contrasto totale, poteva non funzionare. Come il confronto con la scrittura astratta e forte di Panella. Non abbiamo toccato nulla perché rischiavamo di far cadere tutto il castello. A partire da quel fantastico cast. Ho ritrovato lo spirito giusto e la magia». Interviene il coreografo Muller: «Alle prove romane mi è venuta la pelle d’oca, loro sono soli davanti a un muro, se sono bravi funziona, sennò no».
Zard fa il punto nautico: «La scena è semplice, trasportabile, il muro al massimo si stringe. Andiamo come sempre negli spazi esistenti (a Roma il teatro ho dovuto costruirlo io). Se si costruissero in Italia 24 teatri moderni da duemila posti si creerebbero 30-40 mila posti di lavoro». In questi spartiti ritrovo la melodia del Novecento, penso al Kurt Weill americano. «Al limite, ma senza sfiorare la Dodecafonia - precisa Riccardo - e mi ci ritrovo completamente, sono io. Io urlo i sentimenti intimi, è il modo per un cantante di scoprire la sua anima. Tu puoi scrivere per il presente, la comunicazione, e il futuro, sperando ti capiscano nel giro di cent’anni. L’opera è sempre stata pensata nel suo tempo ed è morta sotto i colpi delle scuole d’avanguardia del Novecento. Notre Dame è elegante, potente nella comunicazione dei sentimenti, usando chitarre, basso elettrico, tastiere, poca elettronica e tante percussioni, come nella musica medievale. Non c’è nulla da cambiare». Lola e Giò, grazie a Cocciante, vinsero un Sanremo.