ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

Al Mudec i colorati incubi di “re” Basquiat, anima tormentata / FOTO

Il diavoletto afroamericano da 57 milioni di dollari ha trovato una bella casa al Mudec

Jean Michel Basquiat arrivò ragazzino nella Grande Mela

Milano, 28 ottobre 2016 - Il diavoletto afroamericano da 57 milioni di dollari (a tanto si è impennata la quotazione di un suo autoritratto con fattezze luciferine in una recente asta newyorkese),

Un autoritratto
Un autoritratto
ha trovato una bella casa al Mudec: “Jean-Michel Basquiat”. Il randagio di Brooklin diventato re, incorandosi da sé nelle proprie opere, ma anche per la valutazione, o sopravvalutazione, nel mercato dell’arte diventato supermarket globale all’alba degli opulenti anni Ottanta. A fine ’88, lo trovarono morto nel suo appartamento, a 27 anni, circondato da libri stroncato dall’ennesimo cocktail di stupefacenti.

Un ragazzino dai lineamenti delicati, longilineo, elegante, che amava vestirsi Armani, dopo essersi mantenuto vendendo davanti al Moma magliette disegnate da lui stesso. Con gli occhi sempre persi dietro uno sguardo timido. Un genietto di colore (padre haitiano, madre portoricana), che non ha avuto il tempo di confermare la sua vivacità talentuosa, effimera come il passaggio di una cometa. Eppure, ormai, è una Blue chip, come si dice in Borsa, o nel poker per indicare la fiche cui si attribuisce il valore più alto. Una fortuna dipesa presumibilmente dalla capacità straordinaria di fondere fumetto, letteratura beat, storia, jazz, hip hop, break dance, consumismo e tanto tanto colore sparato e accecante.

Comunque, il primo artista nero a ottenere nel suo campo un ruolo e una fama prestigiosi, come Spike Lee se lo stava guadagnando negli stessi anni attraverso il cinema: «La corona che ricorre nei suoi dipinti richiama sul piano simbolico la regalità della cultura dei neri, ancora oggi tristemente negata, se non avversata» spiega lucidamente il curatore Gianni Mercurio nel saggio “Black is Black”, incastonato nel catalogo della mostra, prodotta da 24Ore Cultura. Un percorso dagli esordi sulla strada, con enigmatici graffiti filosofici, parole come pennellate, su muri, finestre e porte abbandonate, firmandosi SAMO (Same Old Shit, la solita vecchia merda). E sviluppato negli studi messi a disposizione dai galleristi. Tappa importante, Modena: nell’81, Emilio Mazzoli, il primo ad apprezzare subito Basquiat, gli organizza in Italia la prima personale. E il ragazzino, senza ancora abbandonare l’acronimo, passa a una pittura più sofisticata, con la rappresentazione di un pastore che forse esce dalla Bibbia: vedi “The Field next on the Other Road”.

In un’antica rimessa per carrozze in Great Jones Street, poi, le opere diventano persino più spirituali, anche se a sfrecciare per strada è una Red Car. Ultima, la collaborazione con Andy Warhol. In mostra 120 lavori, quasi tutti appartenenti alla collezione di Yosef Mugrabi. Tutti documenti della vivida complessità di un enfant terrible, che non è mai osceno, né provocatore, né polemico, perché resta sempre giovane. “Jean-Michel Basquiat”, Mudec, via Tortona 56, 28 ottobre-26 febbraio 2017