Anna Galiena: “La mia ribellione, 10mila lire e una padella”

Il suo "Coppie e doppi" è un monologo polifonico, da stasera al Franco Parenti

Anna Galiena

Anna Galiena

Milano –  Un girovagare shakespeariano. Con il pubblico preso per mano e accompagnato in alcune delle scene più celebri del teatro elisabettiano. Affrontate però sul palco in completa solitudine da Anna Galiena. Il suo "Coppie e doppi" è infatti un monologo polifonico, da stasera al Franco Parenti. Brani scelti da Riccardo III, Romeo e Giulietta, Macbeth, Amleto, il Sogno, Otello. Ad indagare dualismi e conflittualità.

Galiena, che obiettivo si è posta con il lavoro?

"Nessuno. Uno fa uno spettacolo e spera che piaccia. Punto. Ero solo interessata al concetto di doppio nell’essere umano, la natura maschile e quella femminile. Interpreto entrambe in sei differenti scene che ho tradotto con i miei versi alessandrini, sperando che vadano bene".

Che rapporto ha con il teatro?

"Il teatro è casa, il luogo a cui appartengo. E come ogni casa ci possono essere dei problemi, qualche litigata. Ogni sera d’altronde c’è da esporsi davanti a un pubblico, sale la paura di non riuscire. Ma questo credo che caratterizzi qualsiasi seria professionista".

Non sembra lasciarsi molto intimorire, considerando che è scappata via di casa giovanissima.

"A 21 anni, all’epoca la maggiore età. Mio padre aveva minacciato di mandarmi dietro la polizia, quindi mi sembrò più prudente evitare questo rischio. Me ne andai con niente. Avevo diecimila lire, una valigetta di biancheria, una padella e il materassino sottobraccio".

Una padella?

"Sì, perché pensavo che se avessi risolto il problema del mangiare e del dormire sarei stata tranquilla. Mi trasferii con questo gruppetto di amici in una casetta foderata di ragni. Ma in realtà io non appartenevo a quella società, non mi drogavo, ero politicizzata e arrabbiata. Consideravo le droghe uno strumento per rendere inoffensiva la protesta. Mi stancai presto, ritrovandomi a insegnare nuoto al Lido di Venezia".

A chi insegnava lo stile libero ?

"Ero in una colonia che ospitava ragazzine dell’entroterra, terrorizzate dall’acqua. Ogni volta urlavano “M’enega, m’enega!“, avevano paura di annegare".

La recitazione quando arriva?

"Mio padre, per quanto ci avvicinasse a tutte le arti, era fermamente contrario che facessimo gli artisti. E piano piano in me è montata una ribellione che inizialmente non sapeva bene dove indirizzarsi. Poi ero timida, balbettavo, non mi sembrava possibile. È cambiato tutto quando ho lasciato l’Europa, arrivando prima a Toronto e poi a New York".

Il cinema?

"Mi è sempre piaciuto, anche se ne ero spaventata. Ma fin dal primo giorno di riprese mi sono affidata alla camera. E allora le cose sono andate bene. Nel cinema hai bisogno di essere molto sul presente, senza proiettarti chissà dove. Non devi fare vedere ma essere, altrimenti quell’occhio ti distrugge".

C’è qualcosa che avrebbe fatto diversamente?

"È una domanda che non mi pongo mai. Sono riflessioni da depressi. Nella vita preferisco al limite andare in giro cercando di sistemare i danni che ho fatto".

Ogni tanto pensa invece ai momenti più belli?

"Mi viene in mente il provino a New York per "Romeo e Giulietta". Eravamo in tante, chiedevano il monologo "Oh Romeo, Romeo..." e poi passavano a quella dopo: next! Io trovai il modo di rompere lo schema e alla fine della mia audizione mandarono a casa tutte le altre. Mi avevano presa".