Una predisposizione al suicidio. Pulsione di morte. Che pare scorrere nelle vene di tre generazioni di donne. Come se un invisibile ordine di servizio fosse tracciato nei corpi. Delineando destini e individualità. Possibile? Alice Birch lascia come sospeso l’interrogativo. Se ne alimenta. Mentre condivide una riflessione sul determinismo genetico nel suo "Anatomia di un suicidio", testo del 2017.
Autrice eclettica, la drammaturga britannica. Che molto sta collaborando anche con cinema e tv (gli adattamenti dai romanzi di Sally Rooney). Mentre a teatro era sua la riscrittura dell’Orlando per Katie Mitchell, alla Schaubühne di Berlino.
In Italia è arrivata grazie al collettivo romano Lacasadargilla. Lavoro fortunatissimo. Capace un annetto fa di stravincere gli Ubu come miglior spettacolo, testo straniero, interpreti e regia. Prodotto dal Piccolo, da domani lo si rivede al Grassi di via Rovello, diretto da Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni.
"È un racconto corale – spiegano i due registi – che si muove tra le epoche e che mette in atto nella propria struttura linguistica un esperimento di psichica collettiva per attivare immaginari, tracce memoniche e “rumori genetici“ che si diffondono per contagio nelle vite delle une e degli altri. Un dispositivo dove il vero protagonista è forse proprio quel groviglio che è la vita, dove tutti gli incontri, anche i più minuti, lavorano come talismani e attivatori".
Affresco familiare. Che gioca con lo spazio e con il tempo. Tre donne immerse in orizzonti differenti. Ma simultaneamente in scena. Frammenti di un’inquadratura. In cui si srotola un reticolato femminile di fili esistenziali.
È qui che si tramandano paure, sentimenti, destini. Nella cornice inquieta di una casa. Dove ogni singolo momento pare necessario scegliere di vivere. Ribadirlo a sé stessi. Ma è davvero così strano? Ottimo il cast: Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Alice Palazzi, Federica Rosellini, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Francesco Villano. Fino al 22 dicembre. Da vedere.
Diego Vincenti