ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Soiano Festival: Ana Popovic, blueswoman giramondo

La musicista serba trapiantata in America e ammirata da Springsteen porterà sul palco il suo “Trilogy”

Ana Popovic ha 42 anni

Brescia, 27 luglio 2018 - Un diavolo di donna. Anzi di chitarrista, come la chiama Bruce Springsteen. Già perché, per il Boss, Ana Popovic rimane «one helluva a guitar-player», una musicista da ammirare. E stasera la blueswoman serba trapiantata a Memphis plana sul palco del Soiano Blues Festival con la dirompente carica dell’ultima fatica “Trilogy”, un (triplo) cd impreziosito dalla presenza di pezzi da novanta come Joe Bonamassa, Cody Dickinson o Robert Randolph. Tutto nell’attesa che il 14 settembre esca il nuovo album “Like it on top”, registrato a Nashville. Valchirie con la Fender come Jennifer Batten, Orianthi Panagaris, Lita Ford o Nita Strauss stanno lì a ricordare che il panorama americano è pieno di pantere bionde capaci di prendersi la scena e non lasciarla più, così come la storia del blues è lastricata di icone alla Memphis Minnie, Suor Rosetta Tharpe, Bonnie Raitt, Debbie Davies. Ma l’essere nata a Belgrado, cresciuta artisticamente in Olanda e approdata oltre oceano già con una fama consolidata sulle spalle rendono la vicenda umana e artistica di Ana diversa da tutte le altre, come conferma la nomination nel 2003 a quei WC Handy Awards dove nessun europeo, prima di lei, sembra avesse messo piede.

Prego, quindi, non lasciarsi fuorviare dalla minigonna e dal tacco 12, perché a dimostrare che oltre alle gambe c’è di più è la schiera di grandissimi del blues con cui s’è trovata a condividere il palco negli anni, compresi Salomon Burke, B.B. King e Buddy Guy. «Mio padre Milutin mi ha allevata alla venerazione del blues americano coi dischi di Elmore James, Albert Collins, Stevie Ray Vaughan, Sonny Landrett, Roy Rogers, Robert Cray, Johnny Copeland lasciando pochissime concessioni a quello europeo» spiega lei, classe 1976. «Ho iniziato a suonare a 12 o 13 anni, ascoltando Robert Johnson e imparando a memoria gli assoli di Albert King, poi però ho cercato una mia strada formando gli Hush.

Lo spostamento ad Amsterdam fu per allargare le mie esperienze al jazz e studiare grafica, anche se poi non ho mai esercitato la professione, ma tre mesi dopo il trasferimento cominciarono i bombardamenti americani su Belgrado e mi ritrovai tagliata fuori dal mio mondo, lontana dai miei affetti, chiusa in un isolamento che cercai di trasformare nella mia grande occasione. Se nasci nel posto sbagliato è difficile avere chance; io me le sono costruita concerto dopo concerto, così come tanti miei connazionali che hanno scelto di andarsene in cerca di un destino migliore rispetto a quello che aveva da offrirgli il regime di Milosevic».