
Albertino in consolle
Milano, 9 giugno 2016 - Era nata come l’occasione per rivedersi tra amici e rispolverare emozioni e sensazioni che hanno reso i quattro noti dj i protagonisti indiscussi della scena dance anni ‘90 italiana, ma ora questa reunion assume gli aspetti di un vero e proprio tour. Torna infatti, dopo il successo dell’anno scorso, il Deejay Time, che parte ufficialmente da Milano sabato prossimo al Market Sound con in consolle Albertino, Molella, Fargetta e Prezioso. Una festa insomma a base di dance e hip hop anni ’90. Tornare indietro a quegli anni, ma con lo sguardo volto al futuro: è questo lo spirito di Albertino, il deejay dei tormentoni, che ha fatto e fa ballare milioni di persone.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova edizione del Deejay Time?
«L’anno scorso così per scherzo abbiamo fatto tre date. Siamo partiti riproponendo in radio lo stesso format degli anni ’90. È una cosa a cui io ho pensato molto prima di farla perché non mi piace vivere di ricordi e di passato. Volevo prima riposizionarmi e fare altre cose. Facendolo così un po’ per gioco abbiamo visto che c’è stato un ritorno incredibile e quello ci ha fatto riflettere. In più in questi ultimi mesi nel mondo della musica dance c’è stato un ritorno delle musiche degli anni ’90 con sonorità moderne quindi… quello che poteva sembrare nostalgico ora invece è tornato molto attuale. È stato tutto molto veloce l’anno scorso e ora invece i tempi sono maturi e inoltre abbiamo ricevuto una proposta da parte di un’organizzazione che ci ha collocati in una dimensione diversa, quella dei concerti veri, e poi abbiamo avuto più tempo per organizzare lo show. Sarà più strutturato. La playlist sarà fatta di successi conosciuti che tutti cantano».
Che emozioni hai provato l’anno scorso? E quest’anno cosa ti aspetti?
«Io sono tornato bambino. All’inizio ero scettico e invece ho capito che la gente non si è stancata di quelle cose che per noi sono vecchie, un po’ come succede ai comici. Il pubblico ci ha veramente sorpreso. Noi questa cosa l’abbiamo fatta 20 anni fa al Forum di Assago. Siamo stati in un certo modo dei precursori all’epoca. Oggi farla al Market Sound mi spaventa un po’ anche se è molto stimolante. Non siamo i Depeche Mode».
I tuoi compagni di squadra come la vivono?
«Sono gasatissimi. Negli anni ’90 è nato tutto spontaneamente e senza che lo studiassimo. Siamo sempre gli stessi. C’è solo qualche capello bianco».
Qual è il segreto della longevità di questo successo?
«Mi sono chiesto anch’io in realtà perché mi vogliono così bene. La risposta a cui sono arrivato è che io ho rappresentato un momento di gioia e di grande divertimento nel momento più bello della vita cioè l’adolescenza. Quindi quando vedi Albertino, ora che hai 35 anni e magari mi ascoltavi che ne avevo 15, lo colleghi subito a un periodo felice e spensierato».
I giovani degli anni ’90 in cosa erano diversi da quelli di oggi?
«Essenzialmente nel fatto che ormai il termine giovane secondo me non deve più essere visto come un dato anagrafico. È un modo di essere, uno stile di vita essere giovani. Sabato ero all’Arena di Verona a vedere Adele e un signore coi capelli bianchi mi ha urlato timidamente “Illumina”, che è uno slogan che uso da un po’ di tempo nella mia trasmissione. Mi ha colpito. Ci sono dei giovani vecchi e dei vecchi giovani. Non è più questione di quanti anni hai».
Da cosa trai spunto per essere sempre attuale nel tuo modo di comunicare?
«Io prima di essere un gran comunicatore come qualcuno pensa, sono prima di tutto un grande ascoltatore. E quindi la maggior parte degli slogan o tormentoni in radio in realtà non li ho inventati io, ma li ho sentiti per la strada e le ho divulgati, magari estremizzandoli e amplificandoli un po’ come il “va bene” di Ranzani. Il segreto è quello: ascoltare, guardare, essere curiosi e avere sensibilità. E poi l’ironia. Tutto è lavoro per me».
La gratificazione più grande?
«Vedere un padre e un figlio che mi ascoltano. Quella è l’emozione più bella perché vuol dire che ti seguono, che hai lasciato qualcosa». Sogni nel cassetto?
«Vorrei un orto. Ridono tutti, ma è così. Un libro nuovo? Un giorno scriverò la storia della mia vita. Potrebbe essere di ispirazione per qualcuno. La mia storia e quella di Linus è un po’ un american dream».
Alle tue figlie consiglieresti di fare questo lavoro?
«Ho sempre augurato ad entrambe di svegliarsi un giorno ed essere folgorate da una passione talmente grande da vivere per questa, come è successo a me».
Sei più felice ora o quando hai iniziato?
«All’inizio sicuramente. Quello che mi manca ora è l’incoscienza».