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Unabomber, svolta nel caso: un capello in un uovo inesploso potrebbe riaprire le indagini

Arriva l'autorizzazione dal Procuratore a esaminare la montagna di reperti e documenti accumulati dagli investigatori di 4 province

Le unità scientifiche dei carabinieri al lavoro (Ansa)

Trieste - «Magari avessero continuato a indagare, avremmo potuto scoprire chi è l'autore, o gli autori, non è matematico che le azioni siano state tutte opera della stessa mano». Se c'è qualcuno che sarebbe davvero soddisfatto se fosse riavviate le indagini nella vicenda Unabomber, quello è l'avvocato Maurizio Paniz, il legale che assiste Elvo Zornitta, principale sospettato, poi scagionato dopo anni di calvario. L'ipotesi di una riapertura del caso, a distanza di anni, potrebbe non essere remota. Una richiesta è stata fatta alla magistratura da un giornalista esperto del caso, Marco Maisano, autore, conduttore tv, al lavoro su podcast per OnePodcast (iniziativa audio del gruppo Gedi lanciata a inizio 2022) insieme con due vittime.

Maisano ha ottenuto l'autorizzazione dal Procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo, a esaminare la montagna di reperti e documenti accumulati durante le indagini coordinate da 4 procure (Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e Trieste). Nel setacciare, Maisano avrebbe trovato il capello trovato in un uovo inesploso il 3 novembre 2000 al supermercato Continente di Portogruaro, e altro materiale, e ha chiesto ufficialmente una analisi di questi articoli con i nuovi ritrovati tecnologici. Il magistrato potrebbe a sua volta chiedere al Gip la riapertura delle indagini.

Ma sulla vicenda si è addensata grande attenzione del mondo documentaristico e dello spettacolo: serial televisivi e, come snocciola lo stesso Paniz, Discovery, La7 e altri. La tesi di più attentatori nella serie di 34 attentati attribuiti al misterioso Unabomber tra 1994 e 2006 fu «prospettata dalle procure quando furono unificati i profili di indagine, potrebbe anche trattarsi di persone collegate fra loro. Certamente non c'entra Zornitta», afferma lapidario Paniz.

Dopo anni di indagini, decine di investigatori riuniti anche in pool, e una ventina di magistrati, non è stato risolto il mistero dei tanti tubi esplodenti in luoghi di transito e, in una seconda fase, prodotti di consumo, anche alimentari, che deflagravano causando danni (non la morte) a chi li maneggiava, i sospetti si strinsero intorno a un ingegnere di Azzano X (Pordenone), Elvo Zornitta. Nel 2014 ci fu una svolta: la scoperta della manipolazione da parte di un ispettore di polizia, di un lamierino trovato in un oggetto inesploso.

Questo avrebbe sancito la condanna per Zornitta. Ezio Zernar, l'ispettore, esperto in balistica, sarà infine condannato nel Novembre 2014 dalla Prima sezione penale della Cassazione a due anni di reclusione. Oggi l'aspetto del risarcimento è l'ultimo strascico giudiziario: se in ambito penale la vicenda è chiusa da anni, quello civile è aperto davanti alla magistratura di Venezia. Per l'avv.Paniz il risarcimento indicato dal Tribunale lagunare era «in misura eccessivamente contenuta rispetto alla gravità del fatto», ed è ricorso alla Corte di Appello.

Così come troppo blanda sarebbe per Paniz la condanna di Zernar: «Se non fossimo riusciti a scoprire la manomissione, forse Zornitta sarebbe ancora nelle carceri». A chiedere la riapertura delle indagini c'è anche Francesca Girardi, di 28 anni, che nel 2003, a 9 anni, giocando con un amichetto sul greto del Piave, raccolse un evidenziatore giallo che esplose: perse un occhio e tre dita di una mano. Oggi racconta della presenza di un uomo sul greto.

«Ce l'ho impresso nella memoria da vent'anni. Brizzolato, con i capelli corti, occhiali e una camicia colorata, di quelle hawaiane. Mia madre si era accorta che un estraneo girava. Lui era lì, ci guardava giocare e ha scelto proprio noi». È sicura: «Non si è trattato di un incidente o di una disgrazia, ma di un atto voluto».