
Violenza e abusi
Milano, 7 ottobre 2020 - Il "contesto familiare caratterizzato da anomalie" e "l'avere definito l'imputato un soggetto mite e forse esasperato dalla condotta troppo disinvolta della convivente" sono "mere congetture del giudicante che oltre a essere smentite dagli atti, costituiscono un pericoloso precedente per legittimare uno sconto di pena a fronte di reati di inaudita gravità". Lo scrive il sostituto pg di Milano, Daniela Meliota, nel ricorso per Cassazione contro la sentenza con cui la Corte d'Appello milanese, parlando di "condotta troppo disinvolta" della vittima, ha ridotto di 6 mesi la pena ad un romeno 63enne che lo scorso anno aveva sequestrato, picchiato e violentato la moglie, sua connazionale, in provincia di Monza.
Nel ricorso, il pg Meliota contesta la sentenza dei giudici d'appello di Milano e che definisce l'imputato "uomo mite" sulla base di documenti prodotti dalla difesa sul percorso intrapreso in carcere. "Tale documentazione non proviene (...) da operatori dell'istituto penitenziario (...) né da alcun operatore sanitario qualificato". Ma si tratta invece di una "lettera scritta da un parroco" che ha avuto sporadici incontri con l'uomo e che non è dunque "fonte attendibile e qualificata". Il pg conclude quindi: "Risulta, allora, evidente che la valutazione della 'più scarsa intensità del dolo' fatta dal collegio sulla condotta dell'imputato (...) si basa su elementi di fatto non corroborati in alcun modo dalle risultanze probatorie, nonché su una valutazione della personalità dell'uomo e della sua condizione psicofisica al momento dei fatti frutto di una convinzione del tutto personale del giudicante e priva di qualsivoglia riscontro oggettivo"