
Lisalberta Castaldi, 42 anni, docente in una scuola primaria di Saronno, mamma di un bimbo iperattivo e plusdotato
SARONNO (Varese) – “Paura? Non per lui, sapevo che sarebbe stato capace di gestirsi. Avevo paura di chi avrebbe incontrato”. Lisalberta Castaldi, 42 anni, insegna in una scuola primaria di Saronno, Basso Varesotto. Da qui, qualche giorno fa, il figlio di 7 anni ha lasciato casa ed è salito su un treno diretto a Milano per andare a mangiare un gelato. “Quel pomeriggio lo aveva chiesto, gli avevo detto di no”, racconta la mamma. “Mio figlio è iperattivo e cognitivamente plusdotato: è un bimbo che riesce a mettere in campo risorse importanti. Contenerle non è facile”.
Mamma Lisalberta, nella quotidianità si sente come un pilota di Formula 1 che invece di accelerare deve frenare?
“Un po’ sì. Io uso questa metafora: sto vivendo un viaggio meraviglioso e faticoso. Una genitorialità impegnativa, una maternità avventurosa che non consente di viaggiare in autostrada. Dobbiamo percorrere strade di campagna e dove non ci sono strade siamo chiamati a costruirle. Si fa più fatica, ma questo percorso consente un’intimità maggiore rispetto alle strade diritte, permette di vivere compagnie meravigliose: la nostra vita è più faticosa, ma rispetto al futuro sono tranquilla”.
Cosa le dà questa fiducia?
“Le tante risorse che ha mio figlio. Un bimbo iperattivo e plusdotato fatica a contenerle: ne ha tante in uno spazio troppo piccolo e accadono situazioni pirotecniche”.
Come la scorsa settimana?
“Un episodio simile non era mai successo”.
Ha dato una spiegazione?
“Voleva raggiungere l’obiettivo: andare a Milano a mangiare il gelato. Tanto che quando le forze dell’ordine lo hanno ritrovato e mi hanno telefonato dicendo di essere vicini a un bambino con caratteristiche fisiche simili a quelle descritte da me erano dubbiose che si trattasse di mio figlio. Attendevano la foto, io invece sapevo già che era lui. Con orgoglio ha raggiunto l’obiettivo: quando ce l’hanno mostrato in fotografia era sorridente e contento”.
Come è uscito di casa?
“Abitiamo in una villetta da poco tempo: disterà oltre un chilometro dalla stazione e ci sono diversi attraversamenti stradali. Lui si è tolto l’orologio col Gps per non farsi rintracciare ed è andato”.
Come ha reagito da mamma? Questo episodio ha modificato la vostra relazione?
“Rimproverandolo perché i suoi obiettivi vanno incanalati. Dal punto di vista pratico, io e mio marito stiamo cercando soluzioni che ci consentano di monitorarlo”.
Come si è accorta della neurodivergenza di suo figlio?
“Già dallo sviluppo del linguaggio. La prima figlia ha un alto potenziale cognitivo ma non è iperattiva. Nel suo caso, invece, le due situazioni convivono. Con la più grande è stato come andare in autostrada, con tappe di apprendimento tradizionali e serene. Con lui, invece, ci siamo inchiodati, abbiamo imboccato l’uscita e abbiamo iniziato un altro tipo di viaggio”.
A chi si è rivolta? Al servizio sanitario pubblico?
“No, ho preferito un percorso privato incontrando specialisti di valore. È stata una scelta: non abbiamo mai “mollato il boccino“. Abbiamo scelto, io e mio marito, un percorso in cui lo specialista ha osservato i comportamenti di nostro figlio in casa, in piscina, negli ambienti che frequentava. Una rilevazione oggettiva piuttosto che un test effettuato in ambulatorio che, a mio avviso, non è totalmente credibile. Se un bambino si rifiuta di collaborare e effettuare quanto richiesto perché oppositivo, viene ritenuto incapace e allora proprio non ci siamo: non sono una neuropsichiatra ma ho la cultura necessaria per capire quando una rilevazione dei dati è attendibile”.
È un consiglio il suo?
“È un messaggio: non permettete agli altri di dire chi è vostro figlio e di cosa è capace”.