JESSICA CASTAGLIUOLO
Cronaca

Giornata mondiale dei disturbi alimentari, la pandemia nascosta che colpisce quasi 2 milioni di lombardi

Non solo bulimia e anoressia: prendono piede patologie meno note come l’ortoressia, la vigoressia o il binge eating disorder. Solo nel 2023 seconda causa di morte tra gli adolescenti

Disturbi alimentari, un allarme sempre più in Lombardia

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Milano – Il digiuno e le abbuffate. Il desiderio di gridare e quello di sparire. Perdere il controllo. Controllare tutto, anche il minimo grammo. Svuotare, riempire. La bilancia, lo specchio, la solitudine e – sempre al centro del labirinto – il cibo. È l’ambivalenza, feroce, dei disturbi del comportamento alimentare (Dca), che non hanno una sola faccia.

In Italia, solo nel 2023, i decessi per malattie legate ai dca sono stati 3.780. Ormai la prima causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali e ogni anno si intercettano sempre più casi: nel 2019 erano 680.569 e sono progressivamente cresciuti fino ad arrivare, nel 2023, a quota 1.680.456. Oggi è la Giornata mondiale dei disturbi del comportamento alimentare.

Una “pandemia” che muta e si espande. Diminuisce l’età di insorgenza, fino a investire la fascia di età 8-9 anni. Crescono i pazienti uomini, che sono il 20% del totale. Non esistono poi solo anoressia e bulimia. Patologie meno note come l’ortoressia, la vigoressia o il binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) sono sempre più diffuse.

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"Mi sono resa conto che la cosa che mi permetteva di vivere, mi faceva anche morire dentro". Maria Giulia, 22 anni, è ricoverata al Centro Dai di Città della Pieve, specializzato in binge eating. È uno dei disturbi “nuovi”, quelli ai quali non si pensa subito. "La decisione di ricoverarmi è stata mia, perché ho rivisto tutta la mia vita e mi sono resa conto di quanto il cibo ne facesse parte e di quanto non volevo più che accadesse. Tutte le emozioni che provavo erano legate a quello. Non vedevo le persone per desiderio di socialità ma come pretesto per mangiare. Vedevo il cibo come unica fonte di vita. Ho finito per provare un’emozione negativa anche nei miei confronti".

Villa Miralago, provincia di Varese. Qui invece, in uno dei centri principali della Lombardia, anoressia, bulimia e alimentazione incontrollata, vengono curati tutti. Claudio (nome di fantasia) ha 48 anni. È al secondo ricovero in struttura. Una storia d’amore finita male, il lavoro che non va, le abbuffate: "Ho iniziato ad alzarmi di notte, sfogavo tutta la mia rabbia e la frustrazione sul cibo. Era un godimento estremo. Una droga. Mangiavo a dismisura, senza avere fame. Sono arrivato a pesare 227 chili. Non riuscivo nemmeno a lavarmi. Sono diventato bugiardo: mentivo a me stesso e non riconoscevo il problema. Un giorno mi sono reso conto di essere sulla soglia. È successo quando mio figlio mi ha aiutato a mettere le calze. Ho capito che non sarei riuscito a vivere in quello stato ancora a lungo. Ero in fin di vita". Poi, il primo ricovero: "I primi mesi li ho passati in camera. Non riuscivo a camminare. Facevo dieci passi e dovevo fermarmi per respirare".

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Il binge eating insorge frequentemente anche in età adulta. Il rapporto maschio e femmine è 3 a 4. Il numero di pazienti donne non è quindi così predominante come per anoressia e bulimia, che pure sono in crescita tra gli uomini. Un rituale solitario. Le abbuffate avvengono di nascosto. Dalle 3.000 alle 30.000 calorie ingerite in un’ora. "Le abbuffate patologiche senza metodi di compenso provocano un aumento di peso consistente. Il piacere del cibo non c’entra più nulla – spiega la psichiatra Laura Della Ragione – È una vera e propria dipendenza. È inutile dare una dieta a un paziente con binge eating, è come dire a un alcolista di non bere".

Poi, la vergogna. Il senso di colpa. "C’è un fortissimo stigma su un problema che sul piano epidemiologico riguarda milioni di persone, molte di più rispetto a coloro che soffrono di anoressia o bulimia. Lo stigma, amplificato dai social, parte dal concetto che l’obesità e il binge eating siano una colpa, non delle malattie".

Cinzia Fumagalli presiede l’associazione Ananke, che nasce dal legame con Villa Miralago. Una rete di salvataggio per le famiglie: "Per questi ragazzi il giudizio è un macigno. Il cibo diventa uno strumento per chiedere aiuto. Dentro, un buco immenso di dolore. La fame è quella di riconoscimento, di amore". Maddalena (nome di fantasia) ha 21 anni. I sintomi dell’anoressia nervosa si manifestano a 14 anni. Il rifiuto e la fobia del cibo. Poi i ricoveri, molti. Psichiatria, medicina, centri specializzati. Le trasfusioni, il sondino. Il coma. È entrata in Villa Miralago che pesava 26 chili. "Sono stata sette mesi su una sedia a rotelle. Per la prima volta qualcuno ha saputo aiutarmi. Ho iniziato a mangiare. Ma, lo ammetto: ho ancora paura". Da soli, non si guarisce. "La malattia ti continua a dire che ci si può fermare quando vuoi. È un inganno. Anche quando pesavo 26 chili per me c’era ancora da scendere. Non c’è mai fine. L’unica fine è la morte. Nell’ultimo anno ho capito che bisogna chiedere aiuto, farlo subito. Io rimpiango il tempo che ho perso, ho perso la mia adolescenza". Ma c’è ancora il futuro: "Ho imparato a non ascoltare più la malattia. Ora vedo uno spiraglio. Non mi aspettavo di riuscire a fare cinque pasti al giorno senza sentirmi in colpa. Quando ho superato l’iperattività, non ci potevo credere. Adesso riesco a stendermi a letto e annoiarmi, riposare il mio corpo. A luglio voglio andare con i miei genitori al mare. Non ci vado da moltissimo". Infine, ancora Maria Giulia: "Vorrei dire a chi si sente come me che so quanto è difficile. Nonostante le ricadute, decidiamo ogni giorno di abbattere il muro che mettiamo contro il mondo".