ANDREA GIANNI
Cronaca

Data center, il boom con poche regole dei giganti del digitale. L’ambiente rischia

Grandi strutture spuntano a ripetizione nelle campagne lombarde. Il nodo del consumo di energia e suolo. “È ora di disciplinarli”

Il progetto di un Data center, rischio per l'ambiente (Foto archivio)

Il progetto di un Data center, rischio per l'ambiente (Foto archivio)

Milano – Supernap , oggi Stack Emea, fu tra i primi ad aprire la strada: nel 2015 si installò a Siziano (Pavia), alle porte della Città metropolitana di Milano, ponendo le basi, su un sito iniziale di 42mila metri quadrati poi ampliato in diverse fasi, per quello che negli successivi sarebbe stato celebrato come il "data center più grande del Sud Europa".

Amazon Web Services aveva messo la sua prima bandierina su Milano nel 2012 per poi lanciare, nel 2020, la sua prima "Regione cloud" italiana nell’ambito di un piano di investimenti da 2 miliardi di euro da portare a termine entro il 2029. Si sono espansi colossi come Google, Microsoft e Aruba, solo per citarne alcuni, che hanno dirottato sulla Lombardia massicci investimenti, facendo incetta di terreni e riconvertendo aree.

Una nuova fase nel processo di trasformazione di un territorio che, dopo gli anni del boom della logistica e degli hub spuntati nelle aree industriali di paesi e cittadine, ora è al centro di una nuova partita su un settore strategico. I data center o centri di elaborazione dati (Ced) sono infrastrutture fisiche in cui vengono localizzate le apparecchiature (server e sistemi di storage) e i servizi di gestione delle risorse informatiche, l’infrastruttura It, funzionali a uno o più fruitori. Svolgono un ruolo centrale sia nell’archiviazione rapida e sicura dei dati sia nei servizi digitali, in particolare nell’implementazione e nello sviluppo delle applicazioni di intelligenza artificiale.

Immense aree che sono il cuore pulsante delle rivoluzione digitale. Restano, però, grossi punti interrogativi legati all’impatto sul territorio: il consumo di energia, per alimentare “motori“ che non si fermano mai, i rischi legati a ulteriore consumo di suolo e anche le ricadute occupazionali di attività che, rispetto all’industria o alla logistica, per funzionare richiedono una manodopera relativamente bassa. Poi c’è l’assenza di una "legislazione specifica, a livello nazionale, che regoli la realizzazione e l’insediamento di data center", come ha evidenziato l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, nel presentare le linee guida varate da Palazzo Lombardia per "disciplinare" la realizzazione di queste attività. Uno strumento per i Comuni, nel risiko dei data center, che indica come priorità il recupero di "siti inattivi", ex aree industriali o "aree da rigenerare" per evitare quindi consumo di suolo in territori già densamente urbanizzati ora al centro delle strategie di colossi in grado di mettere in campo investimenti miliardari.

Nelle linee guida anche la "tutela dell’ambiente", investimenti in grado di generare posti di lavoro e "la capacità delle strutture di essere autonome" dal punto di vista energetico. "I data center – ha aggiunto l’assessora regionale alle Infrastrutture Claudia Maria Terzi – sono opere infrastrutturali digitali strategiche e in continua evoluzione: è importante offrire agli enti locali e agli operatori interessati indirizzi uniformi". Proteste, solo per citare un caso, hanno accolto il progetto del data center di Bollate, che dovrebbe sorgere in un’area verde tra Cascina del Sole e Cassina Nuova. Legambiente ha parlato, infatti, di un "ennesimo sfregio inferto al territorio comunale", chiedendo un passo indietro. La posta in gioco emerge anche dall’ultimo report di Cushman& Wakefield, che, oltre al ruolo chiave della Lombardia, dipinge le aree a Nord Ovest di Milano (Settimo Milanese e Cornaredo) come la "principale area di interesse e sviluppo" per il mercato, un "cluster consolidato con un totale di circa 400.000 mq di spazi per data center".