Milano, 26 agosto 2024 – La somma pattuita, da consegnare in contanti per poter lavorare, è di 600 euro, detratti dallo stipendio mensile. “Sono i rimborsi che ti dicevo, sono i miei, fammi un favore se riesci stasera a prepararli che sono senza un euro”, scrive il caporale a un manovale. “Vuoi che ti faccio un bonifico e te li giro subito?”, risponde l’uomo, acconsentendo alla richiesta. Poi si mettono d’accordo per un prelievo, fissando un incontro per la consegna dei contanti. In un’altra chat, su WhatsApp, il caporale avvisa l’operaio che l’impresa gli ha bonificato una somma, fatta figurare come rimborso, che poi va consegnata a lui, come in altre occasioni. “Devo andare sabato mattina in posta perché non mi fa prelevare tanto”, risponde il lavoratore. Due conversazioni, finite sul tavolo della Filca Cisl di Milano, che sono la dimostrazione plastica di uno schema rodato. Una legalità di facciata, buste paga dalla regolarità solo apparente, e un fiume di denaro che finisce nelle tasche di chi è in grado di procurare manodopera a basso costo per i cantieri, dalle piccole ristrutturazioni ai grattacieli.
Il mercato delle braccia non è più all’aperto, in snodi viabilistici di Milano come piazzale Lotto dove in passato i furgoni facevano la spola per caricare operai all’alba, ma il reclutamento avviene su Telegram e WhatsApp, su gruppi formati da persone spesso provenienti dallo stesso Paese, unite da legami di parentela o di conoscenza. Evoluzione tecnologica che rende ancora più difficili i controlli e l’attività sindacale, mentre sono rarissime le denunce. “Nel Milanese il 60% dei lavoratori edili viene contattato attraverso intermediari – spiega Alem Gracic, segretario generale della Filca Cisl di Milano – che sfuggono a qualsiasi regolamentazione. Le tecniche sono sempre più subdole, gli stranieri spesso devono ripagare debiti contratti per arrivare in Italia e pochi hanno una conoscenza dei loro diritti”.
Il filo diretto con l’Egitto
Il 70% delle nuove iscrizioni alla cassa edile di Milano, obbligatoria per lavorare in regola, riguarda persone nate in Egitto. Poi c’è l’esercito dei lavoratori in nero, che sfugge dai radar. Solo l’anno scorso la Fillea Cgil di Milano, nell’ambito della task force contro il lavoro sommerso operativa in Prefettura, ha presentato 48 segnalazioni, scaturite da visite nei cantieri. La metà riguarda mancato rispetto delle misure di sicurezza, mentre l’altra metà irregolarità nei rapporti di lavoro. “È una goccia nel mare – spiega Riccardo Piacentini, segretario generale della Fillea Cgil di Milano – ma sulla base delle nostre segnalazioni è stata sospesa l’attività imprenditoriale di sei aziende. Per contrastare il caporalato c’è la legge 199, che consente a chi denuncia di ottenere il permesso di soggiorno, ma di fatto resta inapplicata, le denunce sono pochissime e l’incentivo non è sufficiente per far emergere il fenomeno. Senza un intervento sulla catena dei subappalti sarà difficile un cambio di passo”.
Davanti alla Feneal Uil Lombardia, guidata dal segretario generale Riccardo Cutaia, sono arrivati anche casi di caporali assunti direttamente dalle imprese, con la loro squadra di operai, ed escamotage sempre più raffinati per eludere controlli. Le buste paga sono regolari, solo che una parte del salario (o una somma fatta figurare come rimborso) viene prelevata a versata all’intermediario. Su un compenso di duemila euro mensili netti, ad esempio, una quota da 400 a 600 euro finisce nelle tasche del caporale, o dell’organizzazione sopra di lui.