"Mio figlio stritolato" . La battaglia di Ester in nome della sicurezza

La madre di Gabriele, vittima di un macchinario

"Mio figlio stritolato" . La battaglia di Ester in nome della sicurezza

Una manifestazione organizzata dopo la morte di Gabriele Di Guida contro la piaga delle vittime del lavoro

"La maggior parte degli incidenti sul lavoro capitano agli uomini, ma tocca poi alle donne portare il peso psicologico e logistico di ricominciare e diventare pilastro della famiglia, a tutti gli effetti. A volte i morti sul lavoro sono solo numeri e dispositivi, ma dietro c’è un comportamento. Segnalando una falla nel sistema di sicurezza si può salvare una vita". Lo aveva raccontato di recente Ester Intini, mamma di Gabriele Di Guida, morto a 25 anni, ad aprile del 2019, mentre lavorava alla Silfa Metal Packaging di Sulbiate. Dopo due mesi e mezzo dall’assunzione, appena nominato responsaile della linea di verniciartura, il ragazzo era rimasto incastrato in una macchina per la verniciatura e asciugatura delle lamiere. Solo dopo 28 minuti il responsabile della sicurezza dell’azienda si era accorto che Gabriele era là, incastrato a due metri d’altezza. Una fine atroce. Da quel momento, mamma Ester si è datta un dovere di raccontare tutto: "Ero ragioniera, ma ora ho fatto il corso di formazione Anmil (Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro) come formatrice e comunicatrice. Così ho accresciuto le mie competenze e vado nelle scuole e nelle aziende a insegnare l’importanza dei dispositivi di sicurezza sul lavoro, per far crescere la consapevolezza. La sicurezza non è un optional, ma una scelta. Agli studenti edulcoro un po’ la situazione, ma dico: vi parlo come fossi vostra mamma, che non vorrebbe sentirsi brava a raccontare la vostra storia. Ai lavoratori spiego nel dettaglio i rischi". Ester aveva rinunciato a una carriera aziendale come capo contabile per stare vicina ai suoi figli, dopo la morte di Gabriele ha deciso come missione di promuovere la cultura della sicurezza. E ha anche dato vita all’Associazione “Gabriele nel cuore“, per far passare la comunicazione sull’importanza di usare i dispositivi anti infortunistica e mettere in atto tutte le normative di sicurezza. "Gabriele era gioia pura - laveva ricordato mamma Ester - forse voleva che io parlassi per salvare qualcuno. E così, se anche solo un operaio torna a casa perché ha acquisito nuova consapevolezza e racconta le precauzioni che prende ogni giorno, un po’ di Gabriele sarà entrato in casa sua". La tragica vicenda intanto ha seguito tutti i passagi giudiziari. E si è arrivati a una verità, un punto fermo: "Una copertura del macchinario progettata a protezione del vano sotto la verniciatrice che avrebbe potuto evitare il tragico infortunio mortale sul lavoro e invece non esisteva".

E gli imputati hanno chiesto di patteggiare. La circostanza è emersa al processo. Il giovane era morto trascinato per il braccio da un rullo dopo essere rimasto incastrato con una mano e stritolato per 28 minuti. La vicenda aveva visto patteggiare 11 mesi con pena sospesa il titolare della Silfa e il responsabile della sicurezza in azienda. Alla sbarra erano poi rimasti accusati di omicidio colposo i due che hanno progettato e venduto il macchinario e la Silfa come soggetto giuridico. Non si serano costituiti parti civili i familiari di Gabriele Di Guida, che avevano già ottenuto un risarcimento, ma la fidanzata del 25enne, due anni in meno di lui. Gli imputati, dopo avere versato un acconto sul risarcimento, hanno chiesto di patteggiare anche loro: 14 mesi ciascuno (pena sospesa) il progettista e il venditore del macchinario e 24mila euro l’azienda. Il giudice deciderà il prossimo 27 ottobre.

Secondo l’accusa, Gabriele il giorno dell’infortunio "si era recato all’interno della cabina di verniciatura delle bobine di lamiera" e "si era avvicinato al vano per effettuare operazioni di pulizia dell’impianto" quando "ha inavvertitamente toccato con la mano destra la zona di imbocco tra il nastro in movimento e il rullo" che gli ha agganciato il braccio.

Da.Cr.