Le tragedie di Assago e di Asso sono sintomi di una salute mentale ignorata dalla politica

L’Italia è rimasta terribilmente indietro rispetto all’Europa sulla tutela psicologica e psichiatrica dei suoi cittadini e tre anni di pandemia e crisi stanno presentando il conto

Antonio Milia, il carabiniere che ha ucciso il suo comandante ad Asso

Antonio Milia, il carabiniere che ha ucciso il suo comandante ad Asso

C’è un filo rosso che lega la storia dell’uomo che ha accoltellato cinque persone in un centro commerciale di Assago, uccidendo un dipendente, e quella del carabiniere che ha freddato il proprio comandante per poi asserragliarsi dentro la caserma di Asso. Entrambi soffrivano di gravi disturbi psichiatrici che sono stati sottovalutati, in un modo o nell’altro, dal sistema pubblico di salute mentale che avrebbe dovuto preservare loro e la collettività.

Andrea Tombolini, il responsabile delle aggressioni ad Assago, soffriva di depressione ed era stato ricoverato il 18 ottobre al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo per un mal di testa persistente causato da numerosi pugni alla testa e al viso che si era autoinflitto. In quell’occasione gli era stata fissata una valutazione psichiatrica, fissatagli per il 7 novembre. Quei 20 giorni tra il ricovero e la visita avrebbero potuto fare la differenza.

Antonio Milia, il carabiniere che ha sparato e ucciso il brigadiere Doriano Furceri, era stato ricoverato in psichiatria per tendenze suicide e messo in convalescenza per diversi mesi. Giudicato idoneo per il reintegro Commissione medico ospedaliere – contro il parere contrario dello stesso comandante Furceri – gli era stata riconsegnata la pistola d’ordinanza ed era rientrato in servizio pochi giorni fa.

Prendere queste tragiche vicende come fatti isolati potrebbe distogliere l’attenzione da un problema collettivo di salute mentale che tre anni di pandemia e crisi economica hanno grandemente peggiorato e che la politica continua a ignorare.

La salute mentale peggiora, l’assistenza pure

Partiamo dal problema. Nel 2020 – non disponiamo di dati più recenti – più di 730 mila italiani hanno sofferto di disturbi psichiatrici di varia entità. Quell’anno, in Italia e nel resto del mondo, le persone che hanno sofferto di depressione o che hanno mostrato sintomi ad essa associati sono aumentati enormemente. In Italia sono più che triplicati.

A fronte di questa impennata di disagio mentale, le reti di sostegno sono diminuite. A confermarlo, sono i dati del Ministero della Salute. Nel 2020, spiega il Coordinamento nazionale per la Salute mentale, “oltre 100 mila persone hanno rinunciato alle cure” e gli strumenti di terapia a distanza “non hanno compensato alla riduzione dell’assistenza, soprattutto per le fasce più svantaggiate della popolazione”.

In un solo anno, gli utenti trattati per disturbi mentali sono diminuiti del 14%, i ricoveri in Pronto soccorso per motivi psichiatrici sono scesi del 34% e si è registrata anche – sottolineano gli psichiatri – “una riduzione del numero di persone che entrano in contatto con i servizi di salute mentale a 14 giorni dalla dimissione ospedaliera (sono appena 2 su 10), con un ulteriore peggioramento rispetto all’anno precedente della continuità assistenziale”.

In altre parole, negli ultimi tre anni sempre più pazienti psichiatrici sono stati abbandonati dallo Stato o messi nell’impossibilità di ricevere adeguato supporto. La pandemia sembra in via di conclusione, ma le sue conseguenze sulla salute mentale hanno continuato ad aggravarsi nel lungo periodo e adesso stanno presentando il conto. Di quei 730 mila malati psichiatrici italiani, quasi sette su dieci hanno più di 45 anni, poco più della metà sono donne.

L’Italia investe sempre meno sulla salute mentale

La responsabilità di queste mancate cure è disseminata in un decennio di decisioni politiche miopi. Negli ultimi anni, l’Italia è sempre stata un passo indietro al resto d’Europa sugli investimenti in salute mentale. Paesi come Francia, Germania e Regno Unito spendono percentuali a due cifre: il nostro Paese non arriva al 3%.

 

Quel che è peggio è che mentre molti Paesi europei aumentavano la spesa pubblica per la psichiatria e il supporto psicologico, nel 2019 l’Italia ha diminuito ulteriormente i fondi, dal 3,6% a meno del 3%. Neanche durante la pandemia quindi, quando l’allarme sociale riguardo al disagio psichico è peggiorato, l’approccio del governo è cambiato.

 

“Il sottofinanziamento della salute mentale in Italia ha raggiunto livelli non più sostenibili per la tenuta del sistema. I segni di cedimento strutturale sono evidenti”, ha affermato chiaramente Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica (Siep). A confermarlo, spiega, sono tutti i documenti degli enti e delle associazioni di psichiatria e psicologia, nonché le analisi e i rapporti del Ministero della Salute e del Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie.

Nessun cambiamento per il futuro

A fronte di questa situazione, ci sarà un cambio di rotta? No. Come ha ricordato un lavoro di approfondimento della Siep, non c’è traccia di salute mentale né all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), né nell’ultimo decreto di ridefinizione dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale. In sintesi, il disagio mentale cresce nella collettività, sempre più paziente sono abbandonati a sé stessi, eppure niente si è fatto e niente si farà.

“Ci stiamo allontanando dai pazienti e stiamo riducendo i servizi”, ha riassunto sul periodico Vita Franco Rotelli, psichiatra allievo del famoso Franco Basaglia, la cui legge nel 1978 eliminò l’istituto dei manicomi. “Ci sono luoghi dove il sistema non c’è o ci sono solo servizi minimali oppure ospedalieri. So di casi in cui i pazienti vogliono ricoverarsi, ma non trovano un riscontro da parte del sistema sanitario. Siamo in una situazione drammatica, perché la politica non risponde su questo tema”.

Da quarant’anni, una cosa non è in discussione nell’affrontare i problemi psicologici e psichiatrici: servono servizi, presenza, vicinanza. Ovviamente non è possibile impedire tutti gli esiti più tragici e violenti, come quelli di Assago e Asso, ma di certo un cambio di approccio all’importanza della salute mentale e un aumento dei fondi ad essa destinati possono contribuire a prevenire le vittime dirette e indirette. Su questo concorda tutta la comunità scientifica. Chi non risponde, per ora, è la politica.