
Anziani al computer: nonni 2.0, foto generica (Spf)
Milano, 14 gennaio 2020 - Facebook? Per sentito dire. YouTube? Un oggetto misterioso. Per non parlare di Instagram. I nostri anziani non sono (quasi) per nulla social. Solo il 7% degli over 65, infatti, utilizza i social network. Meno della metà rispetto alla media europea. È il risultato dello studio presentato ieri dal dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’università Milano-Bicocca, con il sostegno di Fondazione Cariplo. Uno studio realizzato nell’ambito del progetto "Ageing in a Networked Society", (Invecchiamento in una società connessa) sotto la guida della docente Emanuela Sala e dei suoi collaboratori Alessandra Gaia e Gabriele Cerati. In questo contesto solo WhatsApp si salva, risultando l’applicazione social di gran lunga più utilizzata dai partecipanti (52% del tempo totale passato sullo smartphone); seguono Facebook (36%), YouTube (10%), Linkedin (1%) ed Instagram (1%). Un problema – forse – se pensiamo a quanto social e nuove tecnologie incidono oggi sulla vita di tutti i giorni.
Sala, secondo lei il poco interesse nei social può creare esclusione sociale? "La questione è complessa. Ci può essere esclusione quando all’utilizzo di questi mezzi è associato l’accesso a determinate risorse, anche sociali: il contatto con i nipoti, i familiari, gli amici, le informazioni sugli eventi che si svolgono in città. I social possono rafforzare i legami tra gli individui e in questo senso sì, la poca propensione alle nuove tecnologie può essere un fattore di esclusione. D’altronde in società molto digitalizzate come quelle del nord Europa queste competenze sono necessarie, mentre da noi il rischio - a fronte di un basso livello generale di istruzione - è che la digitalizzazione crei ancora più difficoltà nelle categorie fragili".
Come migliorare le competenze digitali degli over 65? "Provare a formulare qualche ipotesi sarà il prossimo passo della ricerca, che continua. Ma ci sono varie possibilità, ad esempio l’insegnamento “peer-to-peer”, cioè tra pari: anziani che insegnano ad altri anziani. Oppure avviare una collaborazione con gli stessi gestori dei social. In ogni caso è sempre opportuno prevedere dei momenti per parlare anche dei pericoli legati all’uso del pc e dei social network: penso al rischio delle frodi online, dei furti di identità o della salvaguardia della privacy. Ma anche del “commento” che tutti possono vedere sui social".
La vostra ricerca sostiene che il livello di istruzione è legato alla sua propensione nell’utilizzare i social. In che modo? "Negli anziani con un livello di istruzione elevato è quattro volte superiore. Dipende da fattori come la maggiore apertura mentale, l’interesse verso il nuovo e anche la maggiore capacità di apprendere: non sono spaventati dalle novità. E questo non vale solo per i social ma in generale anche per l’uso del pc, di internet e di tutte le nuove tecnologie".
Quali altri fattori allontanano gli anziani dalla tecnologia? "Abbiamo rilevato questa tendenza nei cosiddetti grandi anziani, quindi gli over 75, nelle donne, in chi nella vita ha praticato una professione manuale e in chi si trova in condizioni economiche precarie".
In quale modo social e tecnologia possono aiutare le persone di una certa età? "Hanno grandi potenzialità ma servono le competenze digitali per sfruttarle. Basti pensare alle applicazioni che aiutano nella salute cognitiva e fisica, come il contapassi. Ma anche la geo-localizzazione nel caso di persone affette da Alzheimer. Poi naturalmente c’è la questione dell’impatto sulla solitudine. In ogni caso quelle digitali sono risorse aggiuntive, non sostitutive alle relazioni umane. Il nostro studio ha evidenziato che c’è stato un impatto positivo sulla qualità della vita sia per gli anziani ai quali abbiamo insegnato a usare lo smartphone, sia per quelli che socializzavano di persona".