Tragedia sulle Alpi svizzere, i sopravvissuti difendono la guida

Tornati a casa due dei coinvolti nel dramma dell’Haute Rout

Kalina Damyanova e Mario Castiglioni

Kalina Damyanova e Mario Castiglioni

Como, 19 maggio 2018 - La guida comasca Mario Castiglioni e la moglie Kalina Damyanova erano perfettamente equipaggiati e muniti di gps (la segretaria della loro agenzia aveva caricato personalmente le mappe sui loro dispositivi) e la comitiva sorpresa da un’eccezionale bufera durante la traversata Chamonix-Zermatt il 30 aprile non è riuscita a scavare una buca perché il terreno era completamente ghiacciato. Sono queste le conclusioni a cui sarebbe giunta nei giorni scorsi la Polizia cantonale svizzera che potrebbe presto chiudere l’inchiesta sul tragico incidente che si è verificato sull’Haute Route e costato la vita a sei persone. Non ci sarebbero dunque responsabili per chi indaga.

Uno dei sopravvissuti, all’indomani del soccorso, aveva puntato il dito contro la guida comasca sostenendo di essere l’unico munito di gps e accusandolo di aver fatto diversi errori. Ma nei giorni scorsi altri due sopravvissuti della tragedia, un uomo italiano e una donna tedesca ancora molto provati da quell’esperienza, clienti dell’agenzia “Mlg” di Castiglioni, hanno aiutato a ricostruire i fatti anche se la morte di Castiglioni, deceduto per primo in quota è ancora avvolta da un mistero. Dal loro racconto emerge che tutti insieme erano arrivati alla Pigne d’Arolla a 3.800 metri. Solitamente con gli sci ci vogliono una quarantina di minuti a raggiungere il rifugio più vicino. Ma in quel momento sono stati investiti da una tremenda bufera appena sotto la cima. «Era di una violenza inaudita – hanno raccontato – e anche Mario, abituato all’Himalaya e alla Patagonia, concordava di non aver mai visto nulla di simile. Inoltre nei giorni precedenti alla nostra gita aveva fatto un temporale che ha trasformato la neve in una grande calotta di ghiaccio impenetrabile. Ecco perché nessuno è riuscito a scavare un buco per mettersi al riparo quando siamo stati investiti dalla bufera». 

Una corazza spessa di ghiaccio ha impedito al gruppo di salvarsi. Quindi gli alpinisti hanno deciso di togliere gli sci e mettersi i ramponi. Ma cosa è successo fra il mattino e il tardo pomeriggio quando la situazione si era fatta ormai drammatica? I testimoni hanno spiegato parzialmente come sono andate le cose. La comitiva scendeva sempre più lentamente. Due passi e poi erano costretti a fermarsi. Le raffiche di vento non permettevano loro nemmeno di stare in piedi e tutte le attrezzature per orientarsi erano inutilizzabili. Impossibile anche solo leggere lo schermo del gps per via del ghiaccio. La marcia penosa si è così trasforma in tragedia. E a quel punto anche i testimoni non ricordano più nulla di ciò che è accaduto. L’ipotermia e la dura lotta per restare in vita ha preso il sopravvento. Troppo forte la sofferenza e lo choc.