Cremona – “No“ al nuovo ospedale di Cremona (da 554 posti letto, dal costo di 280 milioni di euro e atteso per il 2030). Lo ribadisce il Comitato per la difesa della sanità pubblica e dell’ospedale di Cremona che ora pare aver trovato ascolto dal consigliere regionale del Pd Matteo Piloni. Dopo un primo comunicato con il quale i responsabili del comitato lamentavano di essersi scontrati contro un muro di gomma ecco che qualcosa si muove. Ai primi di agosto il comitato aveva diffuso un appello nel quale si dimostrava il differente atteggiamento del Pd di fronte al medesimo problema palesato a Cremona e Desenzano. Nella città rivierasca il partito aveva organizzato tre incontri con le forze politiche e sindacali nei quali si evidenziavano le criticità dello studio di fattibilità del nuovo ospedale, mentre invece si chiedeva la possibilità di investire su un ospedale riqualificato.
“A Cremona – dicono Gianluca Franzoni e Rosella Vacchelli, del comitato - Pd e dintorni lasciano che il Comitato arranchi in solitaria in nome del diritto di 200mila cittadini a una sanità pubblica che si faccia carico dei loro livelli di galoppante senescenza e aumento dei tassi di cronicità cui non possono rispondere i muri nuovi di un progetto costoso”.
E dopo il primo comunicato, qualcosa si è mosso. Almeno pare. È stato Matteo Piloni a mandare segnali in un incontro nel quale c’è stato qualche cenno di apertura. Un barlume in fondo al tunnel o un fuoco fatuo? Il Comitato comunque ringrazia e fa tesoro delle parole del politico. “Ogni decisione va presa avendone presente la fattiva sostenibilità insieme alla certezza di tempi e risorse”.
Secondo il comitato è grave la mancanza di non aver coinvolto i cittadini sul Progetto Ospedale (tema bandito dalla tornata elettorale di giugno) cui è legato il destino sanitario di 200mila persone in pieno diritto di dire la loro”. Alla luce di questo monito e dell’apertura il comitato chiede: “È sostenibile il progetto? Serve un nuovo ospedale perché la sanità funzioni? Questi i chiodi su cui battere, il resto è business. Quando la politica esce dal fortino, apre al confronto e misura le scelte in ragione della loro sostenibilità e adesione ai bisogni dell’utenza si ripropone in quel ruolo di servizio a tutela degli interessi collettivi che ne è la ragion d’essere in democrazia”.