Cremona, gli studenti barano e usano l’intelligenza artificiale per fare il tema. Il prof: “Facile scoprirli, ecco come”

Paolo Ferri (Bicocca): “Meglio però cambiare la forma dei compiti a casa ma non demonizziamo la tecnologia”

Una lezione al liceo

Una lezione al liceo

Milano, 7 marzo 2024 – Che gli studenti siano da sempre a caccia di scorciatoie per ridurre al minimo il tempo da passare sui libri è noto, che però in una terza media ben 18 studenti su 23 abbiano fatto scrivere il tema all’intelligenza artificiale cambia un po’ le cose. Tempi nuovi, stratagemmi che si aggiornano si dirà. Non proprio, perché la diffusione dell’intelligenza artificiale generativa, in grado cioè di riprodurre il linguaggio umano sempre più fedelmente (usando però un archivio infinito di informazioni), cambia le regole del gioco. Costringendo la scuola, per esempio, a rivedere alcuni approcci tradizionali.

"Sicuramente non è più il caso di dare testi compilativi come compiti a casa", dice Paolo Ferri, professore ordinario di Tecnologie della formazione all’università Milano-Bicocca, che da quasi vent’anni si occupa del rapporto tra istruzione ed evoluzione digitale e il cui ultimo libro s’intitola proprio “A scuola con le tecnologie. Insegnare e apprendere nel digitale“.

Professore, sgomberiamo subito il campo: quanto è difficile scoprire se uno studente ha barato usando ChatGpt?

"Non molto a dire il vero. Soprattutto dopo la pandemia, la competenza linguistica dei ragazzi si è molto abbassata. Se un elaborato scritto è fatto dall’AI si capisce abbastanza facilmente. Almeno per ora... Lo sviluppo è talmente veloce e imprevedibile che chissà, magari tra qualche tempo si potrà anche chiedere al computer di scrivere come un ragazzino di 16 anni, errori compresi".

A quel punto sarà la morte definitiva dei compiti a casa?

"Sicuramente si pone il problema di modificarli. L’AI generativa si trova a suo agio sui terreni mnemonici e di organizzazione dei dati, ma sul fronte dell’esperienza diretta, dell’elaborazione personale restituisce risultati molto scadenti. Quindi i professori dovranno gioco forza ripensare ai compiti a casa, puntando proprio sulle esperienze dei ragazzi. E poi i momenti di verifica dovranno essere necessariamente fatti in classe, meglio ancora se oralmente. L’oralità diventerà sempre più importante. La questione di fondo comunque è che questa tecnologia è già ampiamente usata dai ragazzi e nel futuro lo sarà sempre di più. Serviranno anzi persone e figure professionali in grado di usarla e “governarla“. L’atteggiamento di chiusura o il far finta di niente è inutile. La scuola deve farci conti".

In che modo?

"Per esempio provando a trasformarla da minaccia in risorsa. Proviamo a usarla in classe e valutare non tanto le risposte che fornisce, quanto piuttosto le domande che le vengono poste. Per utilizzarla in maniera produttiva infatti servono persone competenti, in grado, appunto, di fare le domande giuste. Certo, si pone il problema della formazione degli insegnanti che ora in questo campo è drammatica. Per i docenti già ora può essere uno strumento molto utile, in grado snellire il lavoro nelle sue parti più noiose. Bisogna trovare un modo che sia utile anche ai ragazzi. Una strada è segnata dai fondi sulla scuola del Pnrr: oltre al potenziamento delle lingue straniere e delle materie Stem, c’è anche più formazione in laboratorio. Bisogna quindi tornare a far fare agli studenti esperienze reali sulle quali poi sviluppare connessioni e valutazioni personali. L’intelligenza artificiale ci obbliga a confrontarci, in maniera più urgente, con la vera sfida della scuola, che però è la stessa da sempre".

Quale?

"La motivazione allo studio dei ragazzi. In questo senso però l’AI può essere una risorsa: il confronto con uno strumento così potente e duttile può stimolarli a porre e a porsi nuove e più complesse domande".