Tavernerio, serrande abbassate al Mercatone

Per i sindacati: "Decisione assurda fatturava"

La sede di Tavernerio

La sede di Tavernerio

Tavernerio (Como), 17 Giugno 2015 - Due in tutta la Lombardia, Pessano nella Martesana e Tavernerio nel Comasco. Da ieri serrande abbassate al Mercatone Uno per loro e per altri 33 punti vendita in tutta Italia. «Attività sospesa in attesa di una schiarita», dice Flutura Ndoni della Filcams Cgil, in prima linea sulla vertenza territoriale. In mezzo alla strada sono rimasti 64 lavoratori. Alla fine la scure dei commissari non ha risparmiato – come si temeva – uno dei negozi storici della catena low cost di mobili e complementi d’arredo in crisi profonda malgrado gli incentivi concessi dal Governo anche nell’ultima Finanziaria. «Compatibilmente con il periodo, il fatturato del store era in linea con le migliori performance del gruppo - sottolinea Ndoni - non ci spieghiamo la logica che ha determinato questa scelta». Per commessi e addetti alle vendite è un 2015 al cardiopalma.

Dopo le avvisaglie di gennaio sfociate nella tegola dell’amministrazione controllata del gruppo con 400 milioni di debiti e l’annuncio shock della svendita totale, è cominciata una vertenza tutta in salita. Acciuffata al volo, prima che la situazione degenerasse, dal ministero dello Sviluppo economico che ha affidato quel che resta del colosso che sponsorizzava Marco Pantani a «tre persone serie», dicono i sindacati. I commissari Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari, impegnati in una lotta contro il tempo per salvare il salvabile, in primis «i livelli occupazionali». I lavoratori in bilico sono 4mila in tutto il Paese. A inizio maggio il collegio del ministro Federica Guidi aveva annunciato la necessità di chiudere temporaneamente in attesa di un compratore. A fine mese è fissato «un incontro per fare il punto», annuncia Ndoni, nel mezzo l’angoscia per il futuro negato alle maestranze.

Sempre a fine giugno scade il termine del bando pubblicato il 15 maggio dai commissari «per manifestare interesse a rilevare l’intero complesso aziendale». Si spera nella svolta, cioè in un acquirente che si faccia carico di una situazione difficile. Mentre i dipendenti sono in cassa integrazione straordinaria a zero ore. Si punta anche su compratori locali. Ma i lavoratori non ci credono. «Dovrebbero provvedere al restyling dello store», fanno presente. «Se non sono riusciti a vendere i negozi in buone condizioni, figuriamoci quelli come il nostro. Faceva soldi e costava poco». Sulla riapertura entro fine anno c’è scetticismo. «Una saracinesca abbassata, solitamente, allontana la clientela e rende molto complicato recuperare terreno nell’immaginario del consumatore», dice Vincenzo Dell’Orefice, segretario nazionale Fisascat Cisl