Strage di Erba, ecco i 6 punti oscuri da chiarire: dalle intercettazioni alla faida per lo spaccio

I difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi attaccano per sgretolare quelle che sono state le pietre miliari della condanna all'ergastolo dei loro assistiti

Azouz Marzouk

Azouz Marzouk

Erba (Como) – Sei consulenze in buona parte accolte dal sostituto procuratore Cuno Tarfusser nella richiesta di revisione del processo. Nuove testimonianze, una in particolare, che individua in una faida per il controllo del mercato dello spaccio l'innesco e insieme lo scenario della strage di Erba.

Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D'Ascola, difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi, attaccano per sgretolare quelle che sono state le pietre miliari della condanna all'ergastolo dei loro assistiti: la testimonianza di Mario Frigerio, che riconobbe in Olindo il suo aggressore; il sangue di Valeria Cherubini sul battitacco dell'auto di Romano; le confessioni dell'ex netturbino di Erba e della moglie.

La testimonianza di Mario Frigerio

Frigerio, marito della Cherubini, scomparso nel 2014, all'epoca unico sopravvissuto al massacro, prima di indicare come suo aggressore il vicino di casa Olindo Romano, descrisse un personaggio con caratteristiche somatiche diverse: carnagione olivastra, occhi scuri, fronte bassa. Secondo il pool composto da una quindicina fra neurologi, neuropsichiatri, neuroscienziati è scientificamente impossibile che un ricordo cambi in maniera tanto radicale, passando da un volto sconosciuto ad uno familiare.

Le intercettazioni

La testimonianza di un maresciallo dei carabinieri, all'epoca in servizio a Como, che prese parte alle indagini. Ha garantito ai difensori che tutte le operazioni di intercettazioni ambientali si svolsero regolarmente e senza interruzioni. Secondo i legali dei Romano mancano invece quelle dei giorni in ospedale in cui Frigerio fece il nome di Olindo Romano come dell'uomo che gli trapassò la gola con un coltello.

Le confessioni

Secondo i consulenti delle difesa quelle in cui i Romano ammisero la loro colpevolezza e descrissero le varie fasi del massacro (salvo poi ritrattare) sono "false confessioni acquiescenti", fatte nella speranza di usufruire di qualche beneficio.

La macchia del sangue

Una traccia del sangue di Valeria Cherubini venne trovata sul battitacco dell'auto di Olindo Romano. L'esame effettuato dal genetista forense Marzio Capra, consulente della difesa, ha evidenziato chiare difformità fra la descrizione della traccia ematica, così come era stata repertata dai carabinieri, rispetto alle caratteristiche accertate nelle analisi di laboratorio svolte all'Università di Pavia.

La vicina Valeria Cherubini

Una è la Bpa, la Bloodstain pattern analysis, ossia la collocazione delle tracce di sangue in casa dell'ultima vittima. La Cherubini fu inseguita dall'assassino sulle scale, raggiunta e finita nella sua mansarda, tanto che venne rinvenuta accovacciata accanto a una finestra, con una tenda che presentava uno squarcio. La donna aveva la lingua tagliata. Quindi, argomenta la difesa, era viva anche se in balia del massacratore quando lanciò le invocazioni di aiuto, raccolte da due vicini, i primi soccorritori, richiamati dall'incendio appiccato in casa di Raffaella Castagna. Se i Romano, compiuto il massacro e lordi di sangue, fossero scesi nel cortile, ormai in allarme, sarebbero stati sicuramente notati e riconosciuti. Chi aveva compiuto l'eccidio (uno solo o più d'uno) scelse invece un'altra via di fuga, dai tetti o dal terrazzino di casa Castagna.

Le testimonianze

Una porterebbe alla pista dello spaccio di stupefacenti. Un tunisino, Abdi Kais, amico di Azouz Marzouk, frequentava ogni giorno l'appartamento nel grande condominio di via Diaz dove si consumò la strage. Kais faceva parte del gruppo, che raccoglieva i due fratelli di Azouz e altri, in dura concorrenza sul mercato della droga con una consorteria di marocchini. Si verificarono liti, scontri, episodi violenti, come i ferimenti di uno dei Marzouk e dello stesso Kais, che ha raccontato anche di avere ricevuto l'ordine di eliminare alcuni elementi del gruppo rivale. Secondo il tunisino, i proventi dello spaccio venivano custoditi nell'appartamento che Raffaela divideva con il marito e il figlioletto, dove un giorno qualcuno tentò di introdursi. Secondo Kais i marocchini avrebbero individuato anche il luogo dove veniva occultato lo stupefacente. Quando, dopo essere stato arrestato insieme con gli altri, Abdi Kais apprese del massacro, il suo primo pensiero fu di metterlo in relazione con questa faida. Si meravigliò anzi che Azouz non ne avesse mai fatto cenno. Altri due testimoni parlano dell'avvistamento, nei pressi del condominio, di tre uomini (due all'apparenza extracomunitari), mai identificati.