Rapina in banca, definitiva la condanna a sette anni

I giudici della Suprema Corte hanno respinto le motivazioni portate dall’avvocato dell’uomo

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Per il “colpo“ in banca alla Popolare di Sondrio di Carate Urio, realizzato a maggio 2019, e la detenzione della pistola usata per la rapina, Pietro Martini, 67 anni di Cantù era stato condannato a 7 anni con rito abbreviato. Una sentenza confermata integralmente in Appello, e ora anche dalla Cassazione, che ha reso irrevocabile l’esito del procedimento. I giudici della Suprema Corte hanno dichiarato inammissibile il ricorso, basato su 2 motivazioni: una presunta illogicità e carenza di motivazioni della sentenza di 2° grado, che si sarebbe limitata a replicare quella di Como, e un mancato riconoscimento delle attenuanti senza giustificato motivo, che invece – secondo la difesa - gli avrebbero dovuto riconoscere a fronte del bottino minimo, 500 euro. Ma nel primo caso i giudici hanno invece ritenuto la sentenza "adeguatamente motivata", mentre per il secondo motivo di ricorso, i giudici hanno sottolineato che il danno, oltre alla somma sottratta "che non può oggettivamente ritenersi irrisoria", deve tener conto delle conseguenze morali sui destinatari della sua condotta. Martini si era messo una sciarpa sul volto, un berretto calato sugli occhi, ed era entrato impugnando una pistola, minacciando il cassiere. Le indagini dei carabinieri di Cernobbio, erano partite dall’acquisizione dei filmati delle telecamere installate dentro e fuori la filiale: vedendo che il bandito era arrivato e si era allontanato in bici, e una serie di particolari sul suo abbigliamento e sulle caratteristiche fisiche. Prima di entrare in banca, aveva fatto tre sopralluoghi, parcheggiando la bici e coprendosi il volto con le mani quando si avvicinava alla banca. Dopo il “colpo“, si era tolto giacca e cappellino, avviandosi in bici verso Laglio. Pa.Pi.