"Nulla è peggio di morire sotto le bombe"

Le storie di alcune famiglie separate dal conflitto e il viaggio alla volta dell’Italia con la carovana umanitaria proveniente da Milano

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"Mio figlio ha 16 anni e non voglio che vada in guerra portatelo via". E ancora: "Vi prego prendetevi cura di mia moglie e dei miei figli, devono andare via di qui. Ci hanno chiesto 4 mila euro ma non li abbiamo". Siamo fra Tarasivzti, in Ucraina, e Siret, la frontiera con la Romania. La carovana umanitaria partita da Milano venerdì scorso ha consegnato alla popolazione ucraina materiali di prima necessità e medicinali trasportati da tre autotreni e dodici furgoni.

Trenta ore di viaggio per arrivare e si riparte subito. Lungo la strada che ci riporta a casa troviamo una coda chilometrica di auto. Sono ucraini che scappano dal loro paese. Un uomo ci ha fermati ed ha parlato con German Semanchuk arcivescovo della chiesa ortodossa di Cernvici (Ucraina), persona che ha coordinato la distribuzione degli aiuti e che ci ha fatto da interprete. Ha spiegato che quell’uomo chiedeva un passaggio per la sua famiglia. L’uomo ha abbracciato la moglie Cristina e i figli Sasha di 5 anni e Solimia di 1 anno e mezzo ed è andato via verso Odessa con le lacrime agli occhi ma felice. Non sapeva chi eravamo ma non ha esitato ad affidarci la sua famiglia perché "nulla è peggio di rischiare di vederli morire sotto le bombe". E così è stato con altri profughi, in tutto circa una ventina.

Un altro giovanissimo, un ragazzino di 16 anni, è stato affidato dalla zia ad un altro mezzo. Non voleva vederlo andare in guerra e ora è a Milano al sicuro. Al sicuro nella casa della nonna Lydmila sono anche Cristina e i suoi due figli, l’altra notte alle 2 siamo arrivati a Como e la nonna li attendeva sull’uscio di casa "Non sapevo se sarebbero riuscite ad arrivare - spiega Lydmila - non ci credo ancora che posso abbracciarti, grazie Italia". Il primo convoglio umanitario italiana si è concluso la notte scorsa. Ci sono volute 30 ore per arrivare e 32 per tornare, un viaggio di 3961 chilometri. Una missione umanitaria che ha i volti di coloro che hanno detto "non potevamo stare con le mani in mano".

Massimiliano Saggese