Como, al lavoro un inferno: "Non dovevi fare figli"

C’è chi è stato riassunto dopo aver avuto accesso ai controlli dell’Ats: mobbing e irregolarità, oltre 1.600 casi quelli gestiti dalla Cgil

Chiara Mascetti e Tommaso Pizzo della Cgil

Chiara Mascetti e Tommaso Pizzo della Cgil

Como , 7 novembre 2019 - Il caso più eclatante è quello di Chiara, il nome è di fantasia, la mamma che al suo rientro in azienda dopo aver partorito il secondo figlio si è ritrovata al centro di una vera e propria strategia di mobbing per spingerla a licenziarsi. «Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire» le hanno detto le colleghe del personale, donne come lei, e sono state di parola. Da responsabile di reparto l’hanno messa a fare fotocopie e triturare i documenti come l’ultima delle stagiste, non solo per la lanciare un segnale anche a tutte le altre sue colleghe le hanno cancellato la mail e tolto il telefonino aziendale. 

«Chiara però non si è arresa e ha sopportato tenendo duro nella speranza di ricostruire quel rapporto di fiducia con l’azienda che sicuramente non è stata lei a interrompere decidendo di stare a casa in maternità – spiega Tommaso Pizzo, responsabile dell’ufficio vertenze Cgil – Purtroppo le cose sono ulteriormente peggiorate, l’azienda ha chiuso ogni forma di comunicazione con noi e anzi dice che Chiara si è inventata tutto per orchestrare chissà quale ricatto. Davvero curioso perché se così fosse non si capisce come mai ha rifiutato un assegno già pronto e firmato per lei che l’azienda le aveva offerto per licenziarsi al rientro dalla maternità».

Una brutta storia tutta comasca che il mese scorso era stata denunciata dalla Cgil anche a livello regionale, nella speranza che l’azienda facesse marcia indietro e restituisse a Chiara piena dignità sul posto di lavoro. Purtroppo non è andata così e molto probabilmente sarà chiamato un giudice a farlo, evento non raro sul Lario dove anche nel 2019 i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in molti casi rimangono lettera morta quando non vengono messi sotto i piedi da datori di lavoro a dir poco disinvolti. I grandi gruppi non sono un eccezione come dimostra il caso della lavoratrice, licenziata e poi reintegrata, perché dopo essere stata eletta nella rsu aveva chiesto di poter accedere ai dati sui controlli dell’Ats.

«Una domanda per nulla peregrina se si considera che l’azienda in questione è una catena di panetterie che ogni giorno sfornano e servono alimenti a decine di migliaia di comaschi – prosegue Tommaso Pizzo – Purtroppo negli ultimi anni abbiamo riscontrato un aumento della precarietà che ha modificato radicalmente le richieste di assistenza da parte dei lavoratori.  Non solo i ragazzi non sono iscritti a nessun sindacato, ma spesso non sono neppure consapevoli dei loro diritti. Si rivolgono a noi con grande timore non per aprire una vertenza, che spesso sarebbe più che giustificata, ma per chiedere una consulenza che in molti casi si conclude con un nulla di fatto». In pratica anziché avviare un contenzioso se ne vanno, magari rinunciando al riconoscimento di indennità o parte del loro stipendio, per cercare un posto migliore. Malgrado tutto da gennaio a oggi la Cgil di Como ha gestito 1665 pratiche: un migliaio sono consulenze, 229 procedure concorsuali, 245 attività di recupero crediti, 178 violazioni contrattuali. 

Tra i settori più delicati ci sono il terziario e il turismo dove capita ancora di imbattersi in lavoratori in nero, assunti in spregio qualsiasi regola contando sull’impunità di un settore dove ancor oggi la maggior parte dei contratti sono stagionali. Non mancano le vertenze collettive che dall’inizio dell’anno hanno interessato 313 lavoratori, a far la parte del leone la procedura di licenziamento collettivo dopo il fallimento del Casinò Campione d’Italia impugnata attraverso gli uffici della Cgil da 87 dipendenti. La provincia di Como non è rimasta immune neppure dallo scandalo delle cooperative per lo smaltimento dei rifiuti. Sul Lario ce n’erano addirittura tre.