
Meghan e il principe Harry
Como, 9 aprile 2018 - Meghan Markle il giorno del suo matrimonio con il principe Harry di sicuro indosserà un abito (non bianco, avorio?) il cui tessuto racconta il meglio del made in Italy, anzi, di Como e «della sua via della seta». Perchè la «Stoffa di cui sono fatti i sogni» (che è anche il titolo del libro edito da Rizzoli, presentato in Galleria Vittorio Emanuele martedì alle 18,30) porta dritto a Michele Canepa, presidente della Taroni, storica azienda serica al servizio della creatività e dell’Alta moda, da Parigi a Milano. E Reali inglesi a parte (pure Camilla nel giorno del suo matrimonio con Carlo indossava un abito, tessuto Taroni, of course!) sono in tanti ad usare questi meravigliosi filati, dai grandi couturier francesi, Chanel, Dior agli stilisti italiani come Valentino e Dolce& Gabbana. Compresi Ralph & Russo, i due stilisti londinesi che realizzeranno, appunto, il vestito della bella Meghan.

«Seguiamo la tradizione, i nostri filati sono realizzati con tecniche immutate. Nel libro spieghiamo bene come si realizza un tessuto, molti non sanno che è un processo delicato e complesso, da quando il filato è in matassa, poi trasformato in tessuto dall’intreccio dell’ordito con la trama. Mi par quasi di sentire il rumore della macchine... Lei non ci crederà ma dopo 51 anni che faccio questo lavoro provo ancora autentica gioia nell’osservare tutte le fasi di lavorazione in fabbrica. E poi la soddisfazione di veder realizzato un tessuto perfetto».
Si parla poco del ciclo industriale della seta...
«Oggi è assai migliorato rispetto all’inizio del secolo scorso. Anche per la seta, che è una proteina, i consumi di acqua si sono alquanto ridotti. Noi realizziamo un prodotto finale ecologicamente ed eticamente sostenibile in ogni passaggio della filiera tessile. Per produrre la seta si parte dall’agricoltura con la coltivazione del gelso e poi si passa all’allevamento in aree a coltivazione biologica, del baco da seta, delicatissimo come tutte le larve di farfalla, e quindi sensibile all’inquinamento dell’aria. Ma non ce ne sono in Italia. Si deve andare in Cina, in India, Thailandia, Brasile. I bachi da seta mangiano tantissimo, foglie di gelso, giorno e notte e c’è bisogno di tanto personale che stia dietro».
Affascinante... è vero che in Taroni avete un magazzino di tessuti pronti, perfetti, pari alla produzione di un anno?
«Sì e gli stilisti lo sanno. Per questo ordinano a colpo sicuro. Tanti abiti delle serate degli Oscar, dei Grammy si realizzano con i nostri tessuti. Ci arrivano richieste di ogni tipo. Ad esempio Dolce&Gabbana usa abitualmente il nostro mikado per i completi maschili da sera. Pensi che una volta ci chiese in ventiquatt’ore una fornitura di seta di 58 colori diversi!».
Avete anche un bellissimo archivio...
«Custodiamo campioni di tessuti dell’inizio del Novecento, talvolta li prestiamo per allestire importanti mostre. Ad esempio abbiamo un Taffetas stampato a quadro del 1927 che fa parte di un gruppo di tessuti probabilmente creati per l’Esposizione Voltiana di Como. E custodiamo pure una seta lamè, del 1969 che fu la risposta di Taroni alla sfida della moda metallica di Paco Rabanne».
Cosa l’ha spinta a comprare la Taroni alla fine degli anni Novanta lasciando il suo gruppo di famiglia?
«Giampaolo Porlezza Taroni ed io eravamo amici da parecchi anni. Negli ultimi tempi era stanco e intenzionato a trovare un erede che portasse avanti il suo lavoro, ma voleva una persona che avesse la sua stessa visione industriale. Mi intrigava la sfida, la Taroni produceva i tessuti più raffinati e complessi di tutti».
Lei è fra i componenti storici della Camera della Moda...
«Fu fondata dalle aziende tessili per dare il miglior servizio ai sarti, per valorizzarli. Oggi la Camera della Moda rappresenta i grandi brand e Taroni è il socio più antico. Ma c’è stato un momento in cui volevo mollare, dare le dimissioni. Mario Boselli, mio caro amico, mi ha pregato di non farlo e sono rimasto».
Martedì presenta il suo libro, nel cuore di Milano, in Galleria, con Beppe Modenese...
«Modenese ha creato con Giorgini la moda in Italia, a Firenze, e poi ha avuto l’idea di portarla a Milano. Siamo alla fine degli anni Cinquanta. A lui si deve tutto».
Il futuro di Taroni?
«Sarà mio figlio Maximilian, che mi affianca da diverso tempo, a guidarla con piglio sicuro. Non ci sono ricette. Dovremo comunicare meglio la nostra eccellenza e continuare a produrre stoffe speciali come facciamo da oltre cent’anni confrontandoci con una clientela sofisticata e amante del bello».