La colonizzazione della ’ndrangheta: business ”in rotta” su Garda e Como

L’allarme di Dalla Chiesa: "Alcune locali si ritirano dai traffici di droga, fatturato maggiore da attività legali"

di Andrea Gianni

La "colonizzazione economica" della ’ndrangheta parte dei bar della movida milanese e, dalla "grande città del divertimento" sotto la Madonnina, arriva fino alle sponde del lago di Garda, allungando le mani sul ricco turismo lacustre. Attraversa province dove un’impresa dietro l’altra finisce sotto il controllo dei clan o viene messa fuori gioco, si arricchisce con il boom dell’edilizia ed entra negli appalti. La Lombardia, la regione più ricca, è anche la seconda in Italia per presenza della ’ndrangheta, dopo la Calabria. E Milano "è un grande bar", alla portata di chi ha soldi e potere criminale da spendere. Una fotografia che emerge dalla ricerca Cross realizzata dall’Università Statale in collaborazione con la Cgil della Lombardia, presentata ieri dal professor Nando Dalla Chiesa durante il congresso del sindacato. Milano, Monza-Brianza e Como, sulla base dei dati analizzati, spiccano come le province a più alta densità mafiosa. Seguono Pavia, Varese, Lecco, poi l’area Bergamo-Brescia-Cremona-Mantova. All’ultimo posto Sondrio. Una presenza che appare, in alcune province, in aumento rispetto alla precedente rilevazione, realizzata sempre nell’ambito della ricerca Cross.

La provincia di Como ha scalato infatti una posizione entrando a far parte, con Milano e Monza, dei territori con il livello massimo di penetrazione mafiosa. Presenza in crescita anche a Sondrio, Lecco e Varese, provincia dove si registra una impennata del 58% delle estorsioni. La geografia della ’ndrangheta si concentra nei Comuni dell’hinterland milanese, storica area di radicamento, e nel Pavese. "L’espansione continua nonostante il lavoro costante delle forze dell’ordine – spiega il sociologo Nando Dalla Chiesa – e una parte sempre più importante del fatturato delle “locali“ deriva da attività legali. Alcune hanno anche smesso di trafficare droga, perché questo espone a rischi di reputazione anche politici e imprenditori che hanno rapporti con la ’ndrangheta". Una parziale “ritirata“ dal mercato degli stupefacenti che ha fatto spazio a organizzazioni criminali straniere, in una coesistenza dove tutti fanno affari. "Nessuna organizzazione è in grado di soddisfare da sola la domanda di droga di una città come Milano – sottolinea Dalla Chiesa – e per questo si crea una competizione senza che si scateni la guerra".

Dall’indagine è emerso, oltre a Milano come “capitale“ per il business delle cosche, anche il ruolo di territori più periferici come poli attrattivi per affari sporchi e investimenti. Tra questi il lago di Garda con la sua florida industria del turismo, tra bar, ristoranti e case per affitti brevi. Un business milionario, garantito anche da "silenzio e immobilità" degli amministratori pubblici. "Quando abbiamo svolto una ricerca sul “quadrilatero padano“ Mantova-Cremona-Piacenza-Reggio Emilia – prosegue Dalla Chiesa – ci siamo trovati davanti a risultati sconvolgenti per schemi di convenienza e forme di omertà degli imprenditori. Nel Mantovano c’è stata una vera e propria sostituzione di imprese locali con altre provenienti dalla Calabria. Durante la pandemia, inoltre, molte attività in difficoltà sono state cedute al miglior offerente". E i clan hanno fatto shopping, mettendo altre bandierine sul risiko, per investire e ripulire soldi sporchi. I fari sono puntati sui lavori legati al Pnrr e alle Olimpiadi invernali Milano-Cortina, con il "modello Expo" come punto di riferimento, perché "il metodo delle interdittive prefettizie è stato efficace" contro le infiltrazioni.

"È necessario un controllo su chi lavora negli uffici pubblici – conclude Dalla Chiesa – agire sul tema degli appalti al massimo ribasso, sulle verifiche sul titolare effettivo di un’azienda".